Spade famose


702px-Degen_-_Fig._1,2,12._Neue_preußische_Degen._–_3_u._4_Degen_Philipps_II._von_Spanien._–_5._Degen_...

 

 

chi non le vorrebbe

impugnare almeno una volta?!?

 

 

 

 

         Storia e mito s’intrecciano quando si parla di spade: l’attrezzo trascende la sua materialità per diventare simbolo di giustizia e di equità. In effetti il cavaliere non approfitta personalmente del potere che gli deriva dal saper maneggiare uno strumento di morte, ma lo mette a disposizione del più debole o del vessato

 

 

 

 

                 LE SPADE FAMOSE DELLA STORIA

                   E DELLA LETTERATURA

1    LA SPADA DI DAMOCLE    damocle

Secondo il racconto di Cicerone, Damocle è un membro della corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa. Egli sostiene, in presenza del tiranno, che quest’ultimo sia una persona estremamente fortunata, potendo disporre di un grande potere e di una grande autorità: Dionigi gli propone allora di prendere il suo posto per un giorno, così da poter assaporare tale fortuna, e Damocle accetta.

La sera si tiene un banchetto durante il quale Damocle inizia a tastare con mano i piaceri dell’essere un uomo potente; solamente al termine della cena egli nota, sopra la sua testa, la presenza di una spada sostenuta da un esile crine di cavallo. Dionigi l’aveva fatta sospendere sul suo capo perché capisse che la sua posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi minacce per la sua incolumità.

Immediatamente Damocle perde tutto il gusto per i cibi raffinati che sta assumendo e chiede al tiranno di poter terminare lo scambio, non volendo più essere “così fortunato”.

Il termine spada di Damocle è successivamente diventato una metafora rappresentante l’insicurezza e le responsabilità derivanti dall’assunzione di un grande potere. Da una parte c’è il timore che il ruolo di potere possa essere portato via all’improvviso da qualcun altro, dall’altra che la sorte avversa ne renda molto difficile il mantenimento. Viene usata anche per indicare un grave pericolo incombente[1].

2     EXCALIBUR       excalibur

La storia e la leggenda di re Artù sono intimamente legate alla magica e misteriosa spada Excalibur.

Come il mago Merlino aveva annunciato, solamente l’uomo in grado di estrarre la spada nella roccia sarebbe diventato re.

Artù, inginocchiato di fronte alla roccia, fece proprio questo: prese la spada, la portò con sé fino alla Cattedrale e la depose sull’altare. Artù fu unto con l’olio santo e, alla presenza di tutti i baroni e della gente comune, giurò solennemente di essere un sovrano leale e di difendere la verità e la giustizia per tutti i giorni della sua vita.

Sebbene Excalibur sia identificata con la spada nella roccia, specie nelle versioni recenti del mito arturiano, in numerose opere sono due spade distinte. La leggenda e la storia si sono mischiate tra loro nel tempo e per questo re Artù, i Cavalieri della tavola Rotonda e la magica spada Excalibur, sono giunte intimamente unite fino ai nostri giorni.

Nel suo romanzo L’ultima legione lo scrittore Valerio Massimo Manfredi ipotizza che Excalibur sia in realtà la leggendaria spada Calibica, forgiata dai Britanni per Caio Giulio Cesare ed appartenuta di diritto all’Imperatore fino a Tiberio, che la nascose, e tornata in Britannia al seguito di Romolo Augustolo, l’ultimo Cesare.   Sulla lama era incisa l’iscrizione CAI • IVL • CAES • ENSIS CALIBVRNVS, della quale la rovina del tempo avrebbe poi lasciato leggibile solo E S CALIBVR.

Il nome Excalibur significa in grado di tagliare l’acciaio.

 

3    DURLINDANA

La Chanson de Roland vuole che la spada fosse stata donata a Orlando proprio da Carlo Magno, che l’avrebbe a sua volta ricevuta in dono da un angelo.[2] Invece, nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto si dice che sarebbe stata data al cavaliere da Malagigi e che sarebbe un tempo appartenuta a Ettore di Troia (tuttavia non c’è nessuna menzione della spada nell’Iliade).

Nella Chanson de Roland, si narra che la spada contenesse nell’elsa dorata un dente di san Pietro del sangue di san Basilio, alcuni capelli di san Dionigi e un lembo di veste mariana.

Nello stesso poema Orlando brandì l’arma nella battaglia di Roncisvalle, uccidendo migliaia di Baschi ma a causa delle ferite riportate nella battaglia egli morì; tuttavia, prima di morire, tentò di distruggerla per evitare che cadesse in mani nemiche, ma l’impatto con la roccia generò la cosiddetta “Breccia di Orlando” nei Pirenei. Durlindana tuttavia si dimostrò infrangibile così Orlando la nascose sotto il suo corpo assieme all’olifante con cui aveva avvisato Carlo della battaglia.

Secondo il folclore, la spada esisterebbe ancora e sarebbe conservata a Rocamadour in Francia, incastrata in una parete rocciosa verticale. Nel XII secolo i monaci della città affermarono che Orlando gettò la spada invece che nasconderla sotto di lui, tuttavia l’ufficio turistico di Rocamadour identifica la spada incastrata come la Durlindana.

A Roma, a poca distanza da piazza del Pantheon, si trova il “Vicolo della Spada d’Orlando”, una strada che presenta, addossato a un palazzo, un grande masso con una fenditura: secondo la tradizione, sarebbe la roccia contro la quale il paladino avrebbe tentato invano di spezzare la sua spada prima di nasconderla.

L’etimologia del termine Durlindana è sconosciuta: potrebbe comunque derivare dal latino durus (duro, resistente).

4  La Gioiosa   spada

Gioiosa (o Altachiara) era la mitologica spada di Carlo Magno. Tuttavia lo stesso nome figura pure nei racconti della Tavola rotonda, attribuito alla spada di Lancillotto. L’origine del nome è ignota.

Alcune leggende raccontano che fu forgiata per contenere la Lancia Sacra nel pomello. Altre sostengono che fu fabbricata con gli stessi materiali della Durlindana di Orlando.

Gioiosa era di duro acciaio temprato; colui che la fece fu ben ricompensato: impiegò due anni prima che fosse affilata. (Bataille Loquifer, LX, 3115-7).

Attualmente, esistono due spade che potrebbero essere Gioiosa: una conservata al Louvre, lì trasferita dopo essere stata conservata nell’Abbazia di Saint-Denise; l’altra è nel tesoro imperiale a Vienna.

Una leggenda, comunque, sostiene che la Gioiosa sia stata sepolta con Carlo Magno.

5    LA SPADA DI SAN GALGANO   sangalgano

San Galgano, conosciuto anche come Galgàno Guidotti (Chiusdino 1148/1152 circa – Chiusdino 1181), fu un cavaliere vissuto in Toscana nel XII secolo, che scelse una vita da eremita ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

La sua spada, confitta nel terreno roccioso nell’eremo che porta il suo nome, è meta di curiosi e devoti.

Galgano era un giovane violento, ma era destinato a cambiare vita e a diventare un Cavaliere di Dio come profetizzatogli da Misser santo Michele arcangelo: ebbe infatti due visioni successive in cui l’Arcangelo Miche gli indicò il suo percorso di vita.

Nella prima visione era tracciato il suo destino di cavaliere sotto la protezione dell’arcangelo stesso, mentre nella seconda l’arcangelo lo invitava a seguirlo.

Seguendo l’arcangelo Galgano attraversò un ponte molto lungo al di sotto del quale si trovava un fiume ed un mulino in funzione, il cui movimento simboleggia la caducità delle cose mondane.

Oltrepassato il ponte ed attraversato un prato fiorito, che emanava un profumo intenso e soave, raggiunsero Monte Siepi, dove, in un edificio rotondo, Galgano incontrò i dodici Apostoli.

Qui ebbe la visione del Creatore: fu quello il momento della conversione.

In seguito, durante degli spostamenti, per due volte il cavallo si rifiutò di proseguire e la seconda volta, solo dopo una intensa preghiera rivolta al Signore, il cavallo da solo e con le briglie sciolte lo condusse a Monte Siepi, nello stesso posto dove la visione gli aveva fatto incontrare i dodici apostoli.

Qui Galgano, non trovando legname per fare una croce, ne fece una infiggendo la propria spada nella roccia, quindi trasformò il proprio mantello in saio e come tale lo indossò.

Sentì anche una voce che veniva dal cielo che lo invitava a fermarsi in quel posto fino alla fine dei suoi giorni: iniziava così la sua vita da eremita, cibandosi di erbe selvatiche e dormendo sulla nuda terra. Lottò e sconfisse con la sua fermezza il demonio che lo tentava.

 

dettaglioarma