Riflessioni ed oltre


bambino-che-pensa-con-un-libro-61481309

 

Si può essere “toccati” …non solo da una stoccata dell’avversario

 

 

 

 

Indice 

1 – Ho imparato

2 – Decalogo del vincente e del perdente

3 – I bambini imparano ciò che vivono

4 – Giocare solo per gioco

5 – Amare lo sport

6 – Risvegliando la vita

7 – Grazie…

8 – La lezione: bisogna imparare anche a perdere

9 – A mio padre (…e non solo)

10 – A fondo pedana, dietro di te

11 – Babbo, oggi alla partita non mi sono divertito

12 – Fragole

13 – Il sorpasso

14 – Chi ha rubato i valori dello sport

15 – Il vecchio e il bambino

16 – Il fallimento è un’abitudine dei vincenti

17 – La mia ora preferita

18 -La gara dei ranocchi

19 – Il rimorso

20 – Il maestro

21 – Insegnare ad imparare

22 – Il maestro di scherma

23 – La storia dell’asino

24 – Livio Berruti

25 – Lo sport mette il turbo al rendimento scolastico

26 – Marcel Marceau

27 – La forza dei giovani: credere nei sogni

28 – Amore ed umanità

29 – Il ruolo del genitore

30 – Non esistono bimbi scarsi: in squadra ciascuno è importante

31 – Non c’è sport senza agonismo

32 – Partecipante al corso di Tecnico di 1° livello 2015

33 – La sconfitta come occasione per crescere

34 – Mantieni i tuoi valori

35 – Quanto è difficile imparare

36 – Ragazzi, non siete speciali

37 – Il maestro di scherma secondo Aldo Nadi

38 – Lo sport è scuola di vita

39- Quando ti sembra di avere troppe cose da gestire…

40 – Non aspettiamo

41 – Lettera di Abraham Lincoln

42 – Le regole e lo sport

43 – Un pensiero di Paulo Coelho sulla felicità

44 – Sensazioni di un atleta

45 – La difficoltà a formare e trattare il talento

46 – Grazie alla spada ho vinto la mia disabilità di Giada Tognocchi

47 – Sei mai riuscito a far sognare qualcuno?

48 – Storia di Wladimir e Matthias

49 – Risvegliando la vita, poesia di Lia

50 – Pensieri di Vincenzo Cordova, Istruttore Nazionale

51 – Manifesto dell’impegno

52 – Riflessioni di Marco Marini

53 – Riflessioni di un genitore

54 – Domenico Patti, parole di maestro

55 – Davide Lazzaroni, considerazioni di maestro

56 – Diagramma ad albero

57 – Carta dei diritti del ragazzo nello sport

58 – Momenti della vita

59 – Quadretto

 

 

59 – Quadretto

 

 

 

58 – Momenti della vita

 

 

57 – Carta dei diritti del ragazzo nello sport

 

 

 

56 – Diagramma ad albero

 

 

 

 

55 – Considerazioni di maestro: Davide Lazzaroni

 

Cercando di essere sempre all’altezza di un bambino

76695210_10157148901718218_8130436519405027328_o

 

 

54 – Parole di maestro: Domenico Patti

Uno dei miei piccoli , Gabriele Gravagno, 10 anni , domenica ha partecipato alla sua prima gara …. ha combattuto senza paura , ma ha perso 10-8 per entrare negli otto . Vengo a sapere che in macchina, tornando a casa , era molto dispiaciuto e crucciato , non perché aveva perso, ma perché (pensava lui) aveva ” deluso genitori che fanno sacrifici, il suo maestro che si impegna con lui e non era riuscito ad onorare al meglio la sua palestra .
Caro Gabriele, tu , non solo non hai deluso nessuno , ma hai onorato , con il tuo impegno, i tuoi genitori , il tuo maestro e la tua palestra come meglio non si poteva . Non è la vittoria che rende onore all’atleta , ma l’impegno che si mette nella gara . I tuoi genitori , i tuoi maestri , la tua palestra sono orgogliosi di te !!! …. CHAPEAU GABRIELE !

Maestro Domenico Patti

 

 

53 – Riflessioni di un genitore

 

 

 

riflessioniedoltre

 

 

52 – COME SI DIVENTA CAMPIONI  DI SCHERMA ? ( E NELLA VITA? )

Lo sport a mio avviso, rappresenta un elemento essenziale nella vita di un individuo,   non solo per il benessere fisico, ma anche e soprattutto per lo sviluppo e la  formazione della propria personalità.  La Scherma in particolare,  è uno sport da combattimento molto complesso, e  produce benefici e risultati unici: lo studio del Tempo, del Modo e della Misura permette al praticante di analizzare come nessun’altra disciplina il nostro movimento, lo spazio che ci circonda e la consapevolezza delle proprie azioni. Il combattimento è un aspetto essenziale della Disciplina: infatti, proprio grazie agli Assalti è possibile verificare di volta in volta l’acquisizione delle nostre competenze e la loro efficacia. Dal punto di vista psicologico,  ogni volta che si sale in pedana  per un Assalto, ci  si ritrova ad affrontare non uno, ma due avversari: uno è quello che ci fronteggia, l’altro è quello dentro di noi. Ci si ritrova  a combattere non solo contro il nostro antagonista, ma anche e soprattutto contro noi stessi: contro le nostre ansie,  le nostre incertezze e le nostre paure. Il nostro Avversario farà di tutto per spingerci al limite delle nostre possibilità, cercherà di metterci in difficoltà in ogni modo, farà di tutto per farci commettere un errore.  Ogni Avversario, poi,  ha  caratteristiche proprie e ci metterà via via di fronte a problematiche sempre diverse. Non appena abbiamo superato un ostacolo, ecco che subito se ne presenterà un altro, e poi un altro ancora. Sia a livello fisico che mentale ogni volta è una nuova sfida, ogni volta bisogna cominciare da capo. Se si aggiunge la possibilità di essere sconfitti in gara, soprattutto durante i primi anni di pratica, quando cioè non siamo ancora completamente presenti a noi stessi, quando non siamo ancora sufficientemente padroni né della tecnica né dei principi che regolano l’Arte, questa situazione può produrre una situazione di forte stress. Le  pressioni dovute alle aspettative, il mancato appagamento del nostro desiderio di apparire e primeggiare può diventare, alle volte, insostenibile.  Ecco allora che la somma di questi  fattori , produce come risultato un senso di profondo sconforto, che alle volte sembra impossibile da superare. Se a questo si aggiungono poi gli impegni della vita quotidiana, il lavoro, lo studio, il tempo sottratto agli amici, ecco che l’ostacolo diventa insormontabile. In questa fase, se non si possiede un carattere determinato, una profonda passione,se il Maestro in Sala non riesce a toccare le corde giuste, se il senso di rivalsa non riesce a dirompere dentro di noi, è facile che lo scoramento prenda il sopravvento e che  dentro di noi inizi a farsi strada un pensiero  maligno, che il più delle volte conduce verso la via di uscita più facile e ci condurrà verso la conclusione più comoda: si decide così che la Scherma non fa per noi e… si molla. In fondo si tratta solo di uno sport, e le palestre sono piene di gente che pratica una disciplina per uno, due, massimo tre anni per poi cambiare disciplina, proprio quando la disciplina inizierebbe a svelarsi… E allo stesso modo si può cambiare scuola, facoltà, fidanzata o moglie. Il lavoro no, perchè di questi tempi è meglio tenerselo stretto, altrimenti, pure quello…L’aspetto che si sottovaluta, in tutto questo cambiare direzione, è che ogni volta che si sceglie di rinunciare, ogni volta che ci si sottomette all’insoddisfazione,  si sta accettando inconsapevolmente una sconfitta. E quello che è peggio è che questo diventa un sistema, finendo con il tempo  per abituarsi ad essere insoddisfatti e sconfitti. Senza avere mai combattuto.

C’è però un altro modo di affrontare la situazione. Così come ci mette in crisi, la Scherma ci fornisce anche tutti gli strumenti per uscirne… In prima battuta, con un colpo di reni, bisogna trasformare gli ostacoli in stimoli, le difficoltà in opportunità di crescita.  Se è vero che, partecipando ad un Assalto, il nostro avversario farà di tutto per batterci, scatenando in noi un turbinio di emozioni, è altresì vero che anche noi faremo lo stesso. Una volta che siamo coscienti del fatto che anche lui sta provando le nostre  stesse paure, le stesse  ansie e le stesse incertezze, che anche lui è avvinto dal timore di sbagliare, ecco che le cose possono essere viste sotto un altra prospettiva. Il maestro Basile afferma, a ragione, che un Assalto è uno scontro di personalità. Se si riesce ad essere  consapevoli di questo,  ecco che la figura del nostro Maestro assume un ruolo diverso e decisivo.  Poter approfittare del ruolo pedagogico del nostro  Maestro di Scherma rappresenta una grande opportunità. Affidandosi con coscienza al proprio Maestro e alla sua esperienza, si possono raggiungere risultati inaspettati fino a qualche tempo prima.

Nel variegato panorama marziale, quello che rende quasi unica la Scherma, in particolare quella italiana,  è  la copiosa   trattatistica specifica giunta fino a noi. Oggi, grazie ad internet è oltremodo facile poter accedere ai testi originali, grazie ai quali abbiamo la possibilità di attingere ad una tradizione che dura da secoli. Gli antichi maestri, attraverso i loro scritti, ci possono rendere partecipi  della loro esperienza e condividere con noi il loro sapere. Nel corso di sette secoli,  a partire dal XV secolo, con il  Flos Duellatorum,  considerato  il primo testo schermistico italiano, sono state prese in esame, analizzate e codificate una mole enorme di possibilità tecniche e teoriche. Blasco Florio,  a metà del XIX secolo pubblica una genealogia della Scherma Napoletana che dal  1500, a partire da Teodoro Marcelli ( avo del più conosciuto Francesco, che nel 1686 pubblica il suo trattato )  arriva, di Maestro in Allievo, fino ai suoi contemporanei. Su questa base, dalla metà dell’800 è possibile proseguire questa linea di successione praticamente fino ai giorni nostri. Quindi, a ben vedere, i Maestri attivi oggi, nelle nostre Sale italiane, sono senza dubbio gli eredi e i custodi di questa incredibile tradizione marziale, in grado di trasmettere l’Arte con un valore esperienziale, una didattica e un patrimonio tecnico teorico che è il frutto di secoli di evoluzione, arricchito e migliorato nel corso del tempo senza mai perdere di vista la linea stilistica . La Scherma è Arte, si, ma è anche Scienza. L’esercizio della disciplina si basa infatti su principi geometrici e matematici. A partire dall’Agrippa, che per primo nel 1553 lega la pratica schermistica ai principi della geometria, ogni autore nei secoli a venire dedicherà una parte del proprio lavoro proprio alla teorizzazione di questi principi, sempre evolvendoli, sempre aggiungendo qualcosa di nuovo. E qui si tratta di avere a disposizione una vera e propria miniera di informazioni che possono ampliare a dismisura il nostro bagaglio tattico strategico, in base alle nostre caratteristiche. A questo punto è chiaro come ci si prospettano grandi possibilità di miglioramento e se  siamo in grado di sfruttare tutti gli elementi che la Scherma ci offre, ecco che la Scherma diventa maestra di vita. Quando la dedizione e l’impegno diventeranno una necessità personale, si invertirà anche l’ordine delle priorità. La prestazione non sarà più finalizzata al risultato, ma rappresenterà una occasione per migliorare se stessi. A questo punto, si potrà anche essere battuti sulla pedana, ma non si sarà mai sconfitti. E questo farà di noi un campione, nello sport e nella vita. Allenati, mentre gli altri dormono;  studia, mentre gli altri escono;  resisti, mentre gli altri mollano, alla fine vivrai quello che gli altri sognano. In fondo, come affermava il maestro Radaelli, tutto si risolve con una botta dritta!

Marco Marini

Ottobre 2019

 

 

 

51 – Manifesto dell’impegno

mettere-in-fiflessionieoltre

 

 

 

50 – Pensieri di Vincenzo Cordova, Istruttore Nazionale

1 – La scherma mi ha insegnato a non mollare… ho perso moltissimi incontri e dietro ogni sconfitta c’é sempre stata la voglia di risalire sulla pedana e sfidare, sfidare, sfidare le mie paure… indossata la maschera non temo nessuno… con la scherma ho conosciuto i miei limiti e ho imparato ad affrontarli. Ho appreso che la sconfitta non é la fine, ma un nuovo inizio. Saluti by Vincenzo

2 – Perché scegliere la scherma?
A settembre tutte le asd si muovono per acquisire nuovi atleti…la fanno da padrone gli sport di squadra decine di ragazzi vengono portati nei campetti dai propri genitori a ricorrere una palla, chi con le mani, chi con i piedi.
La Scherma invece ha bisogno di avere un rapporto uno a uno atleta maestro…Nel tempo il rapporto è così stretto e solido che il maestro sa tutto del proprio allievo (alimentazione, andamento scolastico, amori, dispiaceri, attitudini ecc.)…così simbiotico che spesso i genitori chiedono al maestro di arrivare dove loro non possono.
Ecco spiegato perché per Accademia della Scherma Reggio Calabria è contenta se arrivano in sala solo un pugno di nuovi cavalieri…per noi l’atleta è al centro di tutto…questa è la nostra missione!

 

 

49 – RISVEGLIANDO LA VITA

Lentamente mi muovo,

posso camminare di nuovo

La mente è ancora un po’ assopita,

l’anestesia non è ancora smaltita

 

I battiti risuonano incalzanti,

i polmoni li rincorrono ansimanti

Cuore e respiro non hanno armonia,

colpa dei farmaci, hanno interrotto la sintonia

 

La mano destra un po’ pigra appare,

lascia sempre sia l’altra ad iniziare

Ma la sinistra alla mia pelle è sconosciuta,

come se ad un’altra sia appartenuta

 

Il passo avanti è sicuro,

la vista mi aiuta

Nel passo indietro ci spero,

la sensibilità l’ho perduta

 

La gamba non sostiene,

la forza manca

L’equilibrio non mantiene,

l’andatura arranca

 

Mano e piede non riesco a coordinare,

la pedana in questo mi potrà giovare

 

Lo specchio come compagno,

il mio riflesso fa da guida,

la precisione l’ambìto guadagno,

Ricomincio dal principio ad imparare,

difficile concretizzare gli insegnamenti

Il maestro mi incoraggia a non mollare,

saranno presto evidenti miglioramenti

 

Finta e cavazione,

parate e arresti

Difficile l’elaborazione,

concetti troppo complessi

 

Temevo non l’avrei più impugnata,

incredula la tengo ben stretta

La mia spada tanto amata,

è lei quella perfetta

 

La testa il punto debole da proteggere,

la maschera calando la può sorreggere

Il confronto con l’avversaria ha una nuova percezione,

ho già affrontato una più dura competizione

 

La mia luce si accende,

per l‘altra è finita

Un nuovo assalto mi attende

la paura è svanita

 

Le ansie del passato

non hanno più significato

Ho vinto la mia sfida,

ho risvegliato la VITA

 

LIA

tenere la posizione la mia sfida

 

 

 

 

48 – Storia di Wladimir e Matthias

Il 19 Luglio del 1982 a Roma si svolgevano i campionati mondiali di scherma.
Quel giorno era in programma la gara di fioretto a squadre. Quarti di finale.
Sulla pedana si scontrano Matthias Behr e Wladimir Smirnow.
Sono al momento i più forti fiorettisti del mondo: il numero uno del ranking contro il numero due.
Ovviamente lottano come leoni.
Entrambi affondano. La lama di Behr perde lo scontro con il petto dell’avversario.
Il fioretto, di un tipo di acciaio che oggi, proprio a causa di qull’assalto non si usa più, si spezza.
La lama, ora appuntita, prosegue la sua corsa verso la maschera di Smirnow. Al confronto di quelle odierne era come di cartapesta.
La grata cede. La lama penetra attraverso l’orbita oculare e raggiunge il cervello.
Smirnow urla e crolla a terra incosciente.
Così come è incosciente Behr, che non ricorda più quei minuti. Smirnow morirà dopo giorni di agonia.
Matthias Behr vuole smettere di tirare.
Cerca di contattare la vedova, pensa ai figli orfani, lui stesso orfano di padre. Ma siamo durante la guerra fredda.
Behr convinto dal suo maestro non smette di praticare la scherma e riesce a raggiungere due finali olimpiche contro Mauro Numa nel 1984.
Il tempo continua a passare, ma lui non dimentica.
Mai.
Divorzia. Litiga con il suo allenatore storico.
In quei momenti il ricordo di Roma lo corrode. La depressione lo consuma.
Tenta il suicidio.
Dopo anni di tentavi riesce finalmente a contattare la vedova di Smirnov e circa 35 anni dopo l’incidente riesce ad incontrarla.
Visitano insieme la tomba dove Wladimir riposa in pace…
Spero che anche lui, ora possa riposare in pace la notte, senza incubi e che non senta più il rumore del metallo che si spezza.

70852734_2384902528212108_8250770353303846912_n

 

 

 

47 –  Sei mai riuscito a far sognare qualcuno?

 

Tempo fa ho conosciuto un giovane studente.

Era prossimo alla maturità. Molto impegnato

nella scuola, nello sport e in tante altre piccole

passioni. Fu facile entrare in simpatia tanto da

potergli chiedere: “Sei mai riuscito a far sognare

qualcuno?”.

La risposta, che a parer suo avrebbe dovuto

farmi contento, fu spontanea: “La mia ragazza!”.

Poi si corresse subito: “Ho scherzato. Non ho la

ragazza. Però ho tante altre cose da fare. Mi dici

tu perché avrei dovuto far sognare qualcuno?

Poi sarebbe tempo perso … perché qui non

sogna più nessuno… Figurarsi se c’è tempo e

voglia di far sognare qualcun altro…”. Ma non è

proprio così: c’è sempre qualcuno disponibile a

far sognare gli altri dimenticando le sue

disgrazie…

Due uomini occupavano la stessa stanza

d’ospedale. Uno dei due doveva sedersi sul letto

un’ora al giorno, durante il pomeriggio, per

respirare meglio. Il suo letto si trovava di fianco

all’unica finestra della stanza. L’altro uomo era

costretto a passare supino le sue giornate.

I due compagni si parlavano per ore. Parlavano

delle mogli e delle famiglie, del lavoro, dei

ricordi d’infanzia, dei luoghi dov’erano nati, di

amicizie… Ed ogni pomeriggio, allorché l’uomo

nel letto vicino alla finestra si poteva sedere,

descriveva al suo compagno di stanza tutto quello che vedeva fuori.

L’uomo costretto a restare supino dapprima non era molto interessato

a quelle descrizioni, poi, un po’ alla volta, ne fu coinvolto e infine cominciò

a vivere per nient’altro che per quei brevi periodi durante i quali il suo mondo

si apriva attraverso gli occhi dell’altro, arricchendosi di tutte le attività ed i

colori del mondo esterno.

L’uomo alla finestra descriveva la vista su un

parco con un bel lago. Gli innamorati

camminavano a braccetto in mezzo ai fiori.

Alberi secolari decoravano il paesaggio e si

poteva intravedere in lontananza il vecchio

castello che dominava la città.

Mentre l’uomo alla finestra descriveva tutti

questi dettagli, l’altro chiudeva gli occhi e si

immaginava le scene. Durante un bel

pomeriggio, l’uomo alla finestra descrisse una

parata che passava lì davanti. Sebbene l’altro

uomo non avesse potuto udire l’orchestra, riuscì

a vederla con gli occhi della propria

immaginazione, talmente il suo compagno la

descrisse nei minimi dettagli.

I giorni e le settimane passarono, finché un

giorno, all’improvviso, l’uomo della finestra fu

spostato in un altro reparto. Quando quel letto

fu vuoto, il compagno di stanza chiese di

poterlo occupare lui, per stare in prossimità

della finestra. Una volta fatto il cambio,

lentamente, sofferente, l’uomo si sollevò un

poco, appoggiandosi su di un sostegno, per

gettare un primo colpo d’occhio all’esterno.

Finalmente, avrebbe avuto la gioia di vedere lui

stesso quanto il suo amico gli aveva descritto. Si

allungò per girarsi lentamente verso la finestra

vicina al letto… e tutto ciò che vide fu un muro!

Poi l’infermiera gli rivelò che l’amico andato via

era cieco, e che non poteva nemmeno vedere il

muro. “Forse ha solamente voluto darle

coraggio”, commentò.

Il malato dapprima ci rimase male, poi ci pensò

su e sorrise. Si sollevò nuovamente verso la

finestra: ormai aveva imparato anche lui a

sognare!

La verità è che molti di noi sono come quel

giovane studente, troppo presi dai problemi  personali … e poco

attenti ai bisogni degli altri

ragazzi e dei giovani delle nostre Società.

E quando decidono i programmi sportivi non

sanno sognare e non riescono a far sognare, entusiasmare, orientare,

riscaldare il cuore della gente. Se qualcuno di noi ha la fortuna di

saper immaginare orizzonti che altri non si pongono, di disegnare

paesaggi in cui la gente vive più serena e felice, è nostro dovere cercare

di contagiarli. Sapere

immaginare cose grandi e belle è un privilegio,

un dono, che va condiviso, perché se non si

attiva la fantasia non si progetta nulla di nuovo.

Contribuire a restituire gioia, speranza, creatività

e voglia di fare a chiunque si occupa di sport è

una missione non meno importante che realizzare eccellenti programmi.

 

 

46 –

giada-tognocchi

 

 

 

45 – LA DIFFICOLTÀ A FORMARE E TRATTARE IL TALENTO

I metodi “industriali” dello sport, e magari anche della scuola, possono appiattire chiunque, ma se vogliamo trarre e sviluppare tutte le qualità di chi è particolarmente dotato, dobbiamo saper usare l’ingegno artistico dell’artigiano raffinato.

Il vero talento è più difficile da guidare. Ha più idee, spesso originali e molte da moderare, è più inquieto perché sente di valere, chiede e pretende, e se non viene soddisfatto crea problemi. È più creativo degli altri, e la creatività in qualche modo va favorita, altrimenti si trasforma in insofferenza, disinteresse verso le regole e gli obblighi naturali o, addirittura, in insicurezza.

In quali errori si può incorrere? C’è chi tenta di risolvere i fastidi che procura il talento cercando di imporsi con il pugno duro o mettendolo in concorrenza con gli altri, ma con scarsi risultati. Avviene, per esempio, quando si vuole impostare un lavoro intensivo e metodico per avere subito una squadra con un forte agonismo, da preparare per obiettivi lontani e di vertice. I talenti si adattano peggio degli altri perché il sistema di lavoro li annoia. È anche facile che questo tipo di istruttore attribuisca al talento e alla sua specificità quasi una disposizione naturale ad assumere iniziative troppo personali, o addirittura stravaganti, e a non stare nelle regole. Così lo frena e non ne valorizza l’ingegno e la partecipazione, e il talento, che non ha spazio per esprimersi, alla fine davvero crea problemi.

Chi lo usa male perché precoce e d’intelligenza vivace. Gli chiede troppo quando non ha ancora il fisico e tante qualità del carattere per tollerarlo, e intanto non gli concede di esprimere la creatività e l’ingegno di cui è dotato. Ne fa l’uomo di punta che deve “vincere il prossimo torneo” o “far squadra”, ma il bambino, almeno fin dopo i dieci anni, impara impiegando tutti i gesti dello sport semplicemente con il gioco e senza provare il bisogno di collaborare e di integrarsi. Da qui nascono risentimento e delusione, disinteresse e strafottenza, tentativi maldestri di stupire per sentirsi apprezzato e alla fine scarso impegno.

Lo tratta come un enfant prodige che sa e può più degli altri, impara prima e deve dare più di quanto è nelle sue possibilità. Magari capisce che ha inventiva e doti tecniche per diventare un campione, ma non considera che non ha ancora le esperienze, i mezzi fisici, l’armonia, il senso del collettivo, la capacità di usarsi e la continuità per dare i risultati e le risposte che può dare un adulto.

C’è chi sembra ancora porsi il dubbio se la dotazione del talento vada sviluppata. Per esempio, in nome dell’uniformità e della classifica, lavora subito con tutti sulle qualità presenti al momento, e solo con quelle più redditizie, come si fa con l’adulto che deve andare in campo solo per vincere. Propone schemi e modelli perfetti solo da copiare, senza concedergli di adattarli anche ai propri mezzi o di impiegare ciò che sa fare solo lui. Con questa pretesa di precorrere i tempi per avere subito il risultato, però, non allena e non lascia esprimere proprio le qualità specifiche di cui dispone. Lo blocca, finché diventa inquieto, insoddisfatto e sempre pronto a creare problemi. È facile, infatti, che il talento ostacolato diventi intrattabile, polemico e ingegnoso quando vuole esasperare.

Se, poi, si cerca di contenerlo, ma si continua a trattarlo come un esecutore passivo e sempre pronto e al massimo, gli s’impedisce di usare le qualità migliori del proprio talento. E allora il talento può diventare sempre più genio e sregolatezza, poco disponibile verso gli schemi e le necessità comuni. E, alla fine, abusare della libertà che gli negano senza saperla impiegare.

Dice un istruttore: “Ma io lo blocco”. È possibile, come dimostrano tanti talenti rimasti mezzi giocatori e tanti abbandoni. E allora che fare? Serve una guida attenta che non gli chieda più che agli altri e più di cosa può fare, ma che gli permetta di scoprire tutto ciò che è suo. Che non pretenda che esegua le stesse cose di tutti e si accontenti solo che lo faccia meglio. Che non abbia paura di dirgli almeno “bravo” perché ha paura di appagarlo e renderlo molle, oppure di autorizzarlo a fare qualcosa di testa propria che non saprebbe dirigere e impiegare senza danneggiare gli altri.

 

 

 

44 – Sensazioni di un Atleta

 

La scherma mi ha subito colpito. Sin dalla prima volta in cui ho provato ho trovato questa disciplina incredibilmente affascinante nonostante fossi scalzo e non avessi addosso che un paio di pantaloncini corti (era una giornata d’Agosto e faceva molto caldo). Trovavo stimolante il fatto di dover affinare la reattività e la rapidità nel pensare e nell’agire per poter poi rispondere in modo adeguato agli attacchi dell’avversario.

Ho poi cominciato ad allenarmi in palestra con gli istruttori e questi mi hanno subito fatto capire che la forza di un tiratore di scherma sta nel riuscire a far fare all’avversario ciò che si vuole; hanno paragonato un assalto di scherma ad una partita di scacchi e questo mi ha veramente entusiasmato.

Un combattimento basato sull’astuzia e non sulla forza. Un combattimento dove ci si deve allenare per affinare sensibilità, prontezza di riflessi e, soprattutto, elasticità mentale e fisica nel variare le proprie tattiche, uno  scontro di scaltrezza.

Al momento mi alleno in una palestra con gli istruttori ma un’altra cosa che mi ha fatto aumentare la voglia di iniziare questa disciplina è il fatto che ci si possa allenare con gli altri atleti, alla pari, nella stessa palestra e anche sulla stessa pedana con la sola accortezza di mettere una benda a chi vede.

È solamente da un mesetto che mi alleno ma il mio entusiasmo è veramente alto; vorrei poter trasmettere anche ad altri questa sensazione facendo capire anche a loro tutto quello che ci può dare questo sport. Con gli istruttori mi sono reso conto di affinare sia orientamento che equilibrio e di affrontare una continua esplorazione di sensazioni percettive che devono essere specializzate ed allenate.

Giuseppe Comuniello, atleta non vedente

 

Istruttore Stefano Cinotti, istruttore di scherma

 

Abbiamo cominciato questa avventura da poco ma l’entusiasmo è alle stelle. Come in ogni percorso non possiamo che procedere passo per passo cercando di raggiungere risultati sempre più brillanti, impensabili solo poche settimane fa.
In Italia abbiamo la fortuna di avere una grandissima tradizione schermistica (un importante centro è anche, per l’appunto, quello di Pisa) e già in altre città erano stati fatti passi avanti per quel che concerne la scherma per i non vedenti.
Dopo aver fatto apprendere ai ragazzi i movimenti fondamentali di questo sport sono subito passato a dar loro la spada in mano in modo da far prendere dimestichezza con l’arma; mai avrei potuto immaginare di vedere tanti progressi in così poco tempo: equilibrio, senso della direzione e tantissime altre capacità senso-percettive sono state sviluppate dai miei atleti grazie anche alla loro passione ed alla loro dedizione.
Ho voluto da subito far capire quanto nella scherma ci sia anche una fortissima componente psicologica e quanto l’intelligenza e la prontezza (di riflessi ma soprattutto di iniziativa) sia legata in modo inestricabile a questo sport.
Visti gli innegabili progressi mi sono già messo in contatto con la scuola di Bologna (la più vicina in linea d’aria per noi) e stiamo cercando di organizzare alcune trasferte per poter avere un’occasione di confronto e di crescita tanto utile per gli atleti quanto per noi tecnici, che ci troviamo ad affrontare quotidianamente problematiche inedite.
Ci tengo, infine, a ricordare che tutte queste attività sono e saranno accompagnate dall’opportunità di far tirare gli atleti non vedenti con i ragazzi del Club Scherma Pisa Antonio Di Ciolo che fanno scherma da tanti anni: basta mettere una benda sugli occhi e…che vinca il migliore!

 

 

 

43 – Un pensiero di Paulo Coelho sulla felicità

 

il mondo cambia con il tuo esempio non con la tua opinione paulo coelho

“Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini.
Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava.
Invece di trovare un sant’uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un’attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c’era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.
Nel frattempo, voglio chiederti un favore, concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d’olio. Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l’olio.
Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio.
Allora, gli domandò questi, hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?’
Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d’olio che il Saggio gli aveva affidato.
Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo, disse il Saggio. Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.
Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d’arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d’arte era disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.
Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato? domandò il Saggio.
Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.
Ebbene, questo è l’unico consiglio che ho da darti, concluse il più Saggio dei saggi.
Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare le due gocce d’olio nel cucchiaino”.

Paulo Coelho: L’Alchimista

 

 

 

42 – Le Regole e lo Sport

Non è possibile dare per scontato che l’attività sportiva sia di per sé formativa ed educativa e oggi, più di prima, lo sport educativo necessita di regole.

Le Regole sono il complesso di norme con le quali si organizza la vita individuale e collettiva per il raggiungimento di ogni obbiettivo sia esso sportivo, familiare, culturale, lavorativo.

Mi preme parlare di Regole con riferimento all’Etica, alla morale, al comportamento in ambito sportivo dei vari soggetti siano essi Atleti, Dirigenti, Tecnici, Arbitri o Genitori.

Regole e Sport formano un binomio indivisibile per la necessità dell’aspetto Educativo, Etico, Morale e del Fair Play di cui lo sport è portatore.

 

Ma siamo certi che Regole, Etica e Fair play interessino solo i momenti in cui pratichiamo sport?

Se concordiamo che l’attività sportiva è parte della vita quotidiana gli argomenti di cui parliamo valgono anche fuori dello sport. Come potrebbe, d’altronde,  essere diversamente? Come potrebbe un Atleta tenere un comportamento etico/morale corretto mentre pratica sport e tenere un comportamento diverso in ambito familiare, nello studio, sul lavoro?

Assimilare, orientare, professare il valore dell’Etica è fondamentale e significa avere la capacità di trasmettere messaggi e valori concreti e positivi.

Lo sport è scuola di vita perché insegna ad avere rispetto per sé e per gli altri. Si dice che lo sport educa alla vita, è vero. Qualunque sport si pone come obiettivo la crescita armonica non solo del fisico ma anche della personalità dell’individuo e della sua sfera emotiva e sociale. Fare sport offre l’opportunità di socializzare con altri coetanei, insegna a ‘lavorare’ insieme per un progetto comune ed a rispettare le regole del gioco. Insegna inoltre ad aver rispetto per sé stessi e per gli altri: a non sentirsi invincibili di fronte ai compagni solo perché si riesce bene nella pratica sportiva ed a non sentirsi perdenti solo perché si è meno capaci.

Eccoci, quindi, a riflettere sulle condizioni che rendono possibile l’attività educativa nel contesto sportivo.

Ne indico alcune, tentando di metterle in ordine, consapevole che ciascuno, nel proprio ambiente e con le persone interessate, è chiamato a fare le proprie valutazioni ed a prendere le opportune decisioni.

–  Innanzi tutto c’è bisogno di trovarsi e di confrontarsi: allenatori, dirigenti e genitori non devono essere mondi separati e tanto meno contrapposti! La «forza» dell’attività educativa è data dalle alleanze, non dalle divisioni e tanto meno dalle contrapposizioni. E tra tutti sono i genitori che devono essere recuperati all’aspetto educativo anche in ambito sportivo e non essere più solo tifosi e manager illusi ed illudenti dei propri figli.

–  Il confronto tra gli educatori e l’approfondimento sulla cultura dello sport non devono essere fine a se stessi e tanto meno devono essere l’angolo dei luoghi comuni. L’occhio deve  sempre essere puntato sul singolo ragazzo. Non è l’atleta in funzione della squadra o della società sportiva e tanto meno dello sport in genere, tutto deve essere in funzione della sua vita, della sua crescita, della sua maturazione.

–  La dimensione educativa nell’attività sportiva si esprime con estrema concretezza personalizzando i percorsi, gli interventi, le proposte. Questo presuppone che sappiamo cosa si aspetta ogni singolo «atleta», il perché di certe reazioni, cosa mette in gioco nella competizione, come influisce su di lui l’ambiente, quale carattere ha, che uomo o che donna speriamo diventi.

Un ulteriore aspetto su cui soffermarsi è la capacità di vivere in gruppo; sentirsi parte di un determinato contesto sociale è uno dei bisogni primari di ciascun individuo. Una delle principali motivazioni dei giovani a fare sport è legata al desiderio di vivere e di raggiungere obiettivi sentendosi parte di un gruppo.

L’evidenza formativa di questa abilità è fuori da ogni dubbio: saper rispettare le regole del gruppo e collaborare anche in un ambiente competitivo sono abilità interpersonali che ciascuno di noi deve coltivare.

Le virtù individuali, d’altra parte, non si insegnano solo attraverso lezioni teoriche ma si contagiano per imitazione attraverso l’opera dei testimoni. Da questo punto di vista i grandi campioni sportivi, gli educatori, i dirigenti, gli allenatori hanno una responsabilità molto forte perché possono influenzare la crescita morale dei soggetti che operano nello sport proprio attraverso la loro opera quotidiana.

Fino all’età di 14 anni più dell’80% dei praticanti l’attività sportiva (dati del prof. Massimo Gulisano, Preside del Corso di Laura in Scienze Motorie dell’Università di Firenze) non lo fa per se stesso ma segue un allenatore/istruttore, si affida cioè ad una persona. Questa persona deve essere preparata visto che ha la possibilità di accesso al corpo ed alla psiche di questi ragazzi. Delle capacità morali dell’Istruttore, almeno quanto di quelle tecniche, il genitore deve preoccuparsi quando porta il figlio in un qualunque ambiente sportivo.

Fatta questa verifica e preso atto che l’ambiente è sano e che i tecnici sono anche educatori termina, a mio parere, il compito del genitore.
Il bambino non è uno strumento per appagare l’amor proprio e l’orgoglio del genitore e/o dell’insegnante. Egli, oltre alle soggettive (e non poche) difficoltà di apprendimento, deve far fronte alle aspettative, spesso eccessive degli adulti che lo gestiscono. Questa responsabilità, in un individuo ancora fragile e in sviluppo, determina molte volte il fallimento, l’abbandono.

Lo sport può, inoltre, svolgere un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo della cultura del merito, della trasparenza e delle pari opportunità che non è certo ugualmente avvertita e garantita in molti altri settori.

Lo sport alimenta forti valori e viene considerato un elemento determinante dell’educazione individuale e collettiva. Per gli educatori lo sport, nelle sue diverse manifestazioni, non si colloca più nell’ambito del tempo libero nel quale prevale l’esigenza di intrattenimento e di distrazione, ma nel cuore dell’educazione proprio perché «palestra» di personalità, di valori e di stili di vita.

Se non altro per questa ragione l’educazione fisica andrebbe sviluppata molto di più nelle scuole, quale parte di una più complessiva educazione civica dei cittadini.

La stessa dimensione del gioco ha un valore etico e sociale fondamentale in quanto sviluppa la capacità di sopportare e di sfidare la fortuna ed il caso.

Naturalmente anche il sistema dei media può e deve contribuire a ridurre tensioni e violenza sviluppando la cultura della sconfitta e il senso del rispetto nei confronti dell’avversario.

Molto utile, a tal fine, sarebbe promuovere i cosiddetti sport minori che tanto portano allo sport italiano in termini di immagine e di valori.

L’attività sportiva rappresenta uno strumento indispensabile all’apertura dell’educazione all’ambiente locale; essa è particolarmente adatta agli obiettivi di lotta contro qualsiasi forma di discriminazione di genere, verso persone portatrici di handicap e nella lotta contro il razzismo.

Lo sport concorre anche a costruire la cultura della pace e della tolleranza che insieme superano le frontiere e le etnie in nome dell’intesa e del reciproco rispetto.

Bisogna essere sereni di fronte alla sconfitta, nessuno è capace di vincere sempre. Chi fa sport sa che non si può vincere sempre. L’eccezione è vincere sempre, la norma è un’alternanza tra vittorie e sconfitte ma in entrambi i casi bisogna mantenere la propria dignità. In questo modo abbiamo rispetto di noi stessi ed otteniamo quello degli altri.

Non bisogna accusare nessuno o cercare alibi per le nostre sconfitte ma non dobbiamo neppure credete a quelli che dicono che il mondo si divide tra vincenti e perdenti. Il mondo, come ha detto Julio Velasco e che condivido a pieno, si divide soprattutto tra brave e cattive persone.

Questa è la divisione più importante di cui credo si debba imparare a  tenere di conto.

 

 

 

41 – Lettera che Abraham Lincoln inviò all’insegnante di suo figlio

“ Caro Professore,

lei dovrà insegnare  al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la verità; ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c’è un eroe, per ogni egoista c’è un leader generoso.

Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico e che vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata. Gli insegni a perdere, ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall’invidia e gli faccia riconoscere l’allegria profonda di un sorriso silenzioso. Lo lasci meravigliare del contenuto dei libri, ma anche distrarsi con gli uccelli nel cielo, i fiori nei campi, le colline e le valli.

Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria, gli insegni a credere in se stesso, anche se si ritrova solo contro tutti. Gli insegni ad essere gentile, con i gentili e duro con i duri e non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri. Gli insegni ad ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo.

Gli insegni a ridere quando è triste e gli spieghi  che qualche volta anche i veri uomini piangono. Gli insegni ad ignorare le folle che chiedono sangue e a combattere anche da solo contro tutti quando è convinto di aver ragione.

Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempra l’acciaio. Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso. Gli trasmetta una fede sublime nel Creatore ed anche in se stesso, perché solo così può avere fiducia negli uomini. So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro”.

 

 

 

40 – NON ASPETTIAMO

Siamo convinti che la nostra vita sarà migliore quando saremo sposati, quando avremo un primo figlio o un secondo. Poi ci sentiamo frustrati perché i nostri figli sono troppo piccoli per questo o per quello e pensiamo che le cose andranno meglio quando saranno cresciuti. In seguito siamo esasperati per il loro comportamento da adolescenti. Siamo convinti che saremo più felici quando avranno superato questa età.

Pensiamo di sentirci meglio quando il nostro partner avrà risolto i suoi problemi, quando cambieremo l’auto, quando faremo delle vacanze meravigliose, quando non saremo più costretti a lavorare.

Ma se non cominciamo una vita piena e felice ora, quando lo faremo? Dovremo sempre affrontare delle difficoltà di qualsiasi genere. Tanto vale accettare questa realtà e decidere di essere felici, qualunque cosa accada.

Alfred Souza dice: ‘Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la mia vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c’erano sempre ostacoli da superare strada facendo, qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati. In seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la vita.’

Questo modo di percepire le cose ci aiuta a capire che non c’e un mezzo per essere felici ma la felicita è il mezzo. Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gustatelo ancora di più perché lo potete dividere con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno.

Allora smettete di aspettare di finire la scuola, di tornare a scuola, di perdere 5 kg, di prendere 5 kg, di avere dei figli, di vederli andare via di casa.

Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, di divorziare.

Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova.

Smettete di aspettare la primavera, l’estate, l’autunno o l’ inverno.

Smettete di aspettare di lasciare questa vita e decidete che non c’è momento migliore per essere felici che il momento presente. La felicità e le gioie della vita non sono delle mete ma un viaggio.

Un pensiero per oggi: Lavorate, come se non aveste bisogno di soldi; amate come se non doveste soffrire; ballate, come se nessuno vi guardasse.

Ora rifletti bene e cerca di rispondere a queste domande:

1 – Nomina le 5 persone più ricche del mondo.
2 – Nomina le 5 ultime vincitrici del concorso Miss Universo.
3 – Nomina 10 vincitori del premio Nobel.
4 – Nomina i 5 ultimi vincitori del premio Oscar come miglior attore o attrice.
Come va? Male? Non preoccuparti. Nessuno di noi ricorda i migliori di ieri.
E gli applausi se ne vanno! E i trofei si impolverano! I vincitori si dimenticano!

Adesso rispondi a queste altre:
1 – Nomina 3 professori che ti hanno aiutato nella tua formazione.
2 – Nomina 3 amici che ti hanno aiutato in tempi difficili.
3 – Pensa ad alcune persone che ti hanno fatto sentire speciale.
4 – Nomina 5 persone con cui passi il tuo tempo.
Come va? Meglio? Le persone che segnano la differenza nella tua vita non sono quelle con le migliori credenziali, con molti soldi, o i migliori premi… Sono quelle che si preoccupano per te, che si prendono cura di te, quelle che ad ogni modo stanno con te.

Qualche anno fa, alle Paraolimpiadi di Seattle, nove atleti, tutti mentalmente o fisicamente disabili erano pronti sulla linea di partenza dei 100 metri.

Allo sparo della pistola, iniziarono la gara, non tutti correndo, ma con la voglia di arrivare e vincere. In tre correvano, un piccolo ragazzino cadde sull’asfalto, fece un paio di capriole e cominciò a piangere.

Gli altri otto sentirono il ragazzino piangere. Rallentarono e guardarono indietro. Si fermarono e tornarono indietro … ciascuno di loro.

Una ragazza con la sindrome di Down si sedette accanto a lui e cominciò a baciarlo e a dire: ‘Adesso stai meglio?’ Allora, tutti e nove si abbracciarono e camminarono verso la linea del traguardo.

Tutti nello stadio si alzarono, e gli applausi andarono avanti per parecchi minuti. Persone che erano presenti raccontano ancora la storia. Perché? Perché dentro di noi sappiamo che la cosa importante nella vita va oltre il vincere per se stessi. La cosa importante in questa vita é aiutare gli altri a vincere, anche se comporta rallentare e cambiare la nostra corsa.

 

 

 

 

39 – Quando ti sembra di avere troppe cose da gestire nella vita, quando 24 ore in un giorno non sono abbastanza … ricordati del vaso della maionese e dei due bicchieri di vino…

Un professore stava davanti alla sua classe di filosofia e aveva davanti alcuni oggetti, quando la classe incominciò a zittirsi prese un grande barattolo di maionese vuoto e lo iniziò a riempire di palline da golf, chiese poi agli studenti se il barattolo fosse pieno e questi risposero che lo era.

Il professore allora prese un barattolo di ghiaia e la rovesciò nel barattolo di maionese, lo scosse leggermente e i sassolini si posizionarono negli spazi vuoti tra le palline da golf. Chiese di nuovo agli studenti se il barattolo fosse pieno e questi concordarono che lo era.

Il professore prese allora una scatola di sabbia e la rovesciò nel barattolo, ovviamente la sabbia si sparse ovunque all’interno. Chiese ancora una volta se il barattolo fosse pieno e gli studenti risposero con un unanime ‘si’.

Il professore estrasse quindi due bicchieri di vino da sotto la cattedra e rovesciò il loro intero contenuto nel barattolo andando così effettivamente a riempire gli spazi vuoti nella sabbia; gli studenti risero.

Ora, disse il professore non appena la risata si fu placata, voglio che consideriate questo barattolo come la vostra vita:

·        le palle da golf sono le cose importanti; la vostra famiglia, i vostri bambini, la vostra salute, i vostri amici e le vostre passioni, le cose per cui, se anche tutto il resto andasse perduto, e solo queste rimanessero, la vostra vita continuerebbe ad essere piena;

·        i sassolini sono le altre cose che hanno importanza come il vostro lavoro, la casa, la macchina …

·        la sabbia è tutto il resto, le piccole cose.

Se voi mettete nel barattolo la sabbia per prima non ci sarà spazio per la ghiaia e nemmeno per le palle da golf, lo stesso vale per la vita, se spendete tutto il vostro tempo e le vostre energie dietro le piccole cose non avrete più spazio per le cose che sono importanti per voi.

Prestate attenzione alle cose che sono indispensabili per la vostra felicità; giocate con i vostri bambini, godetevi la famiglia ed i genitori finché ci sono …. portate il vostro compagno/a fuori a cena … e non solo nelle occasioni importanti tanto ci sarà sempre tempo per pulire la casa o fissare gli appuntamenti.       Prendetevi cura per prima delle palle da golf, le cose che contano davvero. Fissate le priorità … il resto è solo sabbia.

Uno degli studenti alzò la mano e chiese cosa rappresentasse il vino. Il professore sorrise: sono felice che tu l’abbia chiesto, serve solo per mostrarvi che non importa quanto piena possa sembrare la vostra vita, ci sarà sempre spazio per  un paio di bicchieri di vino con un amico.

 

 

 

38 – Lo SPORT è scuola di vita

“voi considerate vostro figlio un bambino di 13-15-17 anni
noi consideriamo i vostri figli persone di 13-15-17 anni

voi considerate vostro figlio NON capace di prendere decisioni perché bambino
noi consideriamo i vostri figli persone capaci di prendere decisioni, e sul campo pretendiamo che prendano decisioni, soffriamo quando prendono quelle sbagliate ….. cerchiamo di correggerli, ma non le prendiamo mai per loro.

Voi volete risolvere tutti i problemi di vostro figlio, se va male a scuola gli prendete qualcuno per le ripetizioni, se il professore è severo e da tanti compiti andate a parlare con lui lamentandovi, se l’allenatore urla o tira una pedata nel sedere …. apriti cielo …… tutto questo anche se vostro figlio è sereno ….. voi volete essere protagonisti della vita di vostro figlio.
Noi invece non vogliamo e non possiamo risolvere i problemi dei vostri figli, ogni giorno cerchiamo di allenarli fisicamente e mentalmente per dare loro gli strumenti per poter risolvere i problemi, noi non possiamo andare in campo al loro posto e per fortuna neanche voi, almeno hanno un posto dove crescere in modo autonomo.
Noi non possiamo proteggerli dall’avversario, diamo loro gli strumenti per affrontarlo, noi non vogliamo giocare al loro posto, noi vogliamo che loro siano i protagonisti della loro vita …. e quando c’è da raccogliere i frutti noi ci nascondiamo.

Voi spesso sottolineate che vostro figlio è stanco e allora volete che salti un allenamento, che non vada a scuola perché è rientrato tardi dalla partita, perché si addormenta sul divano etc etc, senza considerare che indebolite la sua forza mentale.
Noi invece esortiamo i vostri figli a superare l’ostacolo della stanchezza, a tenere duro e provare a superare i propri limiti per ottenere un miglioramento, di tenere forte 2 azioni anche se hanno il carico sulle gambe di una partita intera, di ragionare anche se hanno speso tanto, cerchiamo di fortificare la loro resilienza la loro forza mentale perché essa è allenabile.

Sull’aspetto fisico invece abbiamo massima attenzione e sappiamo identificare quando un ragazzo è stanco fisicamente e va fermato, la nostra priorità non sono le partite, ma i vostri figli.

Voi difficilmente accettate il fallimento di vostro figlio, se ha un debito è un dramma, se prende un brutto voto è un dramma ….. e se per caso viene bocciato ….
Noi invece accettiamo le sconfitte se sono il frutto di uno sforzo massimo, e insegniamo ai vostri figli che la cosa importante è uscire dal campo avendo dato tutto, avendo fatto il massimo delle proprie possibilità, ad uscire dal campo consapevoli di aver fatto il proprio dovere …….. quando così non è allora ci arrabbiamo, ma non per la sconfitta, solo per il modo in cui essa nasce.
La cosa incredibile è che i vostri figli si rendono conto di questo e a volte non hanno bisogno di essere puniti ….. per noi sono persone capaci di valutare e da soli cercano di risolvere il problema ……  noi li spingiamo ad assumersi le responsabilità delle loro azioni.

Voi spesso non sopportate le regole, da voi definite rigide, che noi diamo a vostro figlio, a volte avete anche consigliato a vostro figlio di darci una scusa o inventarsi una “balla” per sviare queste regole.
Noi invece diciamo ai vostri figli che le regole vanno rispettate, perché in un gruppo non si è soli e il rispetto verso l’altro è la base, ormai ovunque si parla di senso del diritto, noi trasmettiamo il senso del dovere …..e devo dire che lo sport è rimasto da solo a trasmettere questo.
Senso del dovere e capacità di capire che ogni scelta comporta un seguito …. e i problemi vanno affrontati.

Voi spesso trasmettete a vostro figlio che giocare nella squadra è un diritto, e quando lui non gioca allora lascia, non lotta.
Noi invece facciamo capire che il diritto che hanno è di essere seguiti e di ricevere lo stesso insegnamento, ma i frutti raccolti sono diversi perché gli alberi sono diversi e nello sport le differenze fisiche, tecniche, mentali, fanno la differenza e sono importanti …. ma ognuno ha un ruolo e quando uno ha consapevolezza di ciò che è allora può esprimersi al meglio e soprattutto migliorare.

Noi diciamo la verità ai vostri figli, anche se  sappiamo possa farli barcollare, ma non possiamo mentire nei loro confronti …. siamo li però a indicargli la strada per poter migliorare e rialzarsi.

Noi facciamo capire ai vostri figli che è importante impegnarsi per ottenere il massimo …. ma a volte non è sufficiente e si perde ugualmente.

Voi amate vostro figlio.
Noi amiamo i vostri figli.

Enrico Rocco

 

 

 

37 – Il Maestro di Scherma secondo Aldo Nadi

La nostra è una delle poche professioni che permette, anzi richiede, un modo di pensare indipendente. Per questo motivo, insegnare scherma è molto più difficile di quello che in genere si suppone.
Le qualità morali intrinseche e sviluppate dalla scherma sono state sottolineate in tutto il libro. Per cui il maestro di scherma che non le possiede è completamente inadatto a tale professione. Poiché il suo lavoro va ben oltre l’insegnamento della tecnica, la sua abilità è messa alla prova quando egli insegna ai bambini. Dovrebbe essere in grado non solo di foggiare i loro caratteri con gentilezza, ma anche di allenarne i fisici con la passione infiammante di uno scultore che modella la creta. Non cambierei la gioia di vedere il movimento corretto di uno dei miei piccoli allievi con il brivido di una vittoria Olimpica.

Un maestro di scherma non si può improvvisare. L’arte dell’insegnamento richiede una lunga preparazione, e una facoltà particolare – la si potrebbe chiamare magnetismo – che ha poco a che fare con l’abilità del combattere. Molti schermitori di prim’ordine sono completamente incapaci di dare una lezione.

Si richiede una gran pazienza, poiché è indispensabile che il maestro non permetta mai che il più piccolo errore commesso dall’allievo passi inosservato. Ogni volta che il maestro si trattiene dal fare le correzioni appropriate, sta aumentando la difficoltà del proprio lavoro futuro. Le cattive abitudini acquisite dall’allievo assumeranno presto proporzioni tali da danneggiare seriamente tutte le possibilità di miglioramento.

Ci sono molti fondamentali che il maestro deve esigere ad ogni costo, anche se dovesse ripetere le stesse correzioni incessantemente per anni; per esempio, il totale rilassamento nella posizione di guardia assolutamente perfetta, il gomito a sinistra e la lama dritta quando è in posizione centrale, il controllo del ferro esclusivamente attraverso la mano, il corretto movimento dell’affondo e così via. Il maestro che non trova alcunché da criticare in ogni movimento eseguito dall’allievo non può essere considerato bravo. Questo anche se l’allievo è un campione, perché senza dubbio anche il campione è lontano dall’essere perfetto. In ogni caso, insegnare scherma è difficile. Non bisogna mai dimenticare che scelta di tempo, velocità, coordinazione e precisione tecnica sono l’essenza della scherma e che le prime tre sono solo sottoprodotti dell’ultima. Perciò, nella formazione di uno schermitore non ci sono scorciatoie.

Con la maschera indossata, l’autorità del maestro deve essere suprema. Egli non dovrebbe mai essere interrotto nelle sue spiegazioni. A questo proposito l’allievo non dovrebbe essere eccessivamente curioso. C’è così tanto da imparare sulla meccanica che le pigre domande di un allievo devono essere viste come una perdita di tempo. Se il maestro è bravo e l’allievo non è un pazzo, quest’ultimo gradualmente capirà i motivi per tutto ciò che gli viene chiesto di fare. A meno che lui stesso non si sia preparato per anni, nessun allievo dovrebbe osare mettere in discussione la validità di una regola o l’efficacia di un certo movimento. Se, dopo molti anni di lavoro, egli sente che il suo maestro gli ha dato tutto quello che poteva, e che non c’è altro da imparare da lui, dovrebbe provare a trovare un altro maestro migliore. Discutere ed impugnare i principi del suo attuale maestro, quando questi principi sono insegnati con tutta la coscienziosità di un onesto artigiano, è qualcosa che non va fatto.

La conseguenza logica dell’autorità è la disciplina. Il prerequisito essenziale per questo è che il maestro sia egli stesso altamente disciplinato. Sulla pedana qualsiasi familiarità tra il maestro e l’allievo è impensabile.

La disciplina necessaria per lo studio della scherma è comparabile a quella che serve per cavalcare (in passato nessun uomo poteva essere considerato un gentiluomo senza che fosse ben addestrato sia nella scherma che nell’equitazione). Come la scherma, l’equitazione è un’arte così difficile da imparare, che io dubito molto possa essere imparata appropriatamente con un istruttore civile.

Mi fu insegnato a cavalcare in quella che generalmente si crede essere la miglior scuola di cavalleria al mondo – e che scuola di disciplina era quella! Se, per esempio, non tenevate giù i talloni, o i gomiti ai vostri fianchi, venivate prima bruscamente ripresi e, alla seconda volta, confinati nelle caserme, e poi, se questo non funzionava, in guardiola! Dopo pochi giorni dietro le sbarre sapevate molto bene come tenere giù i talloni, i gomiti ai fianchi, e anche molte altre cose.
Naturalmente, non ho nei miei ricordi di giovinezza neppure la più remota traccia che la scherma dovesse essere studiata con la paura di essere messi dietro le sbarre se si fosse eseguito un affondo scorretto. Ciò che desidero sottolineare è che, a meno che l’allievo non dia tutta la sua attenzione e la sua buona volontà al suo maestro, non diverrà mai bravo.

Ci sono maestri di scherma, in Europa, che per quanto riguarda la pigrizia, la mancanza di attenzione o la semplice stupidità di certi allievi non riescono ad evitare l’uso di metodi drastici. Sebbene ciò in generale sia in qualche modo discutibile, io devo riconoscere da esperienze personali che questi metodi non sono da scartare del tutto come barbarici. Dopo tutto, la fiorettata sulle gambe di un giovanotto fa molto più male moralmente che fisicamente. E i risultati che si ottengono così facendo sono piuttosto sorprendenti.

Prendiamo per esempio il mio Maestro. Se, dopo una spiegazione, l’allievo commetteva un errore nella sua azione, il Maestro gli dava un’altra chiara spiegazione di ciò che voleva, accompagnandola con uno sguardo raggelante. Essi ricominciavano tutto da capo e, sfortunatamente, l’allievo ripeteva lo stesso errore. Un’altra occhiataccia e un gesto d’impazienza che significava “ancora una volta”. Il terzo errore e l’allievo sentiva la lama del Maestro sulle gambe. La quarta esecuzione era infinitamente migliore.

Con un altro maestro quello stesso allievo non avrebbe mai potuto diventare uno schermitore. Con quel Maestro divenne un campione.

Bisogna riconoscere che per quanto riguarda questi problemi le abitudini europee sono abbastanza diverse dalle nostre e che due generazioni fa il vecchio detto, “risparmia la bacchetta e rovina il bambino” era appropriatamente compreso. Gli uomini mandavano i loro figli nelle Sale d’Armi con quello stesso spirito con cui altri mandavano i loro ragazzi nelle scuole militari – per raddrizzare la spina dorsale e per un corso di disciplina. Proprio come non osavano criticare i metodi degli educatori nelle scuole militari, essi non interferivano con ciò che accadeva nelle Sale d’Armi. Avevano scelto quel particolare maestro di scherma per una ragione specifica, e non impedivano perciò i passi necessari per il raggiungimento dei risultati che si erano prefissati. Bene, i risultati del mio Maestro erano raramente insoddisfacenti. E quando lo erano, non certamente per colpa sua.

Sebbene io non fossi particolarmente favorevole a tali metodi, devo ammettere che in molti casi, per esempio con ragazzi indisciplinati, i modi del mio Maestro sarebbero stati i più appropriati. Comunque, con i giovanotti estremamente sensibili, questi metodi non avrebbero portato da nessuna parte. In questo caso il maestro dovrebbe usare tutti gli approcci pedagogici possibili per ottenere il massimo risultato. Egli deve perciò essere in grado di valutare velocemente il carattere dell’allievo.
Certamente, il mio Maestro non usava mai la sua lama sugli adulti. Per loro egli aveva un altro metodo molto più tagliente – la lingua.

Confesso che ho ereditato, con gli interessi, tale metodo d’insegnamento. Di fronte ad una totale mancanza di concentrazione, non si può sempre rimanere perfettamente freddi come si desidererebbe. Il maestro deve avere a sua disposizione una “valvola di scarico”. Tuttavia, lo deve fare in maniera fruttuosa per l’allievo. Ironia, critica brutale e perfino l’amaro sarcasmo – qualsiasi cosa va bene per ottenere dei risultati.

A partire dal principio che l’allievo paga per ottenere dei risultati, il maestro ha il diritto di usare indiscriminatamente qualsiasi arma. L’allievo che si sente escluso invece di sentirsi apprezzato farebbe meglio a cambiare maestro – e sport. Nessun bravo schermitore è mai stato creato solo con le lusinghe.

Quando il maestro ha a che fare con persone che fanno scherma solo per esercizio, qualsiasi severità è fuori luogo.

Alcuni sostengono che sia sbagliato impartire lo stesso tipo di lezione ad ogni allievo. Poiché la scienza della scherma è una e indivisibile, non vedo come si possa insegnare a ciascun allievo in modo diverso. Se il maestro crede nella sua tecnica, come può anche solo modificarla affinché essa si adatti ad ogni allievo? È l’allievo che si deve adattare alla tecnica, e non viceversa! Così, i fondamentali devono essere insegnati a tutti esattamente nello stesso modo. Nel migliore dei casi, ci vorranno molti anni per impararli in maniera appropriata. È solo dopo che l’allievo ha raggiunto un certo stadio di preparazione meccanica che il maestro (che ora dovrebbe conoscere il carattere dell’allievo come se fosse suo figlio) dovrà concentrarsi sullo sviluppo delle qualità di quel particolare allievo, mentre costantemente proverà a correggere i suoi difetti. Per sviluppare quelle qualità al massimo, il maestro deve prendere in considerazione le capacità naturali del suo prodotto: il carattere e la personalità, l’adattabilità dell’intelligenza, la resistenza. Il grado delle rivelazioni del maestro dovrebbe essere in relazione diretta all’ampiezza e alla profondità della mente dell’allievo. L’allievo flemmatico deve essere spronato ad una maggiore vitalità, mentre quello eccessivamente nervoso deve essere domato e gli si deve far capire che senza un controllo interiore non ci può essere giudizio.

L’allievo le cui reazioni mentali non sono molto veloci dovrebbe essere instancabilmente allenato alla velocità meccanica ed alla massima precisione, sia nei movimenti offensivi che in quelli difensivi. Nella preparazione della rapidità mentale, particolare attenzione dovrebbe essere data alle azioni di seconda intenzione. In ogni caso, il maestro non deve mai chiedere più di quanto i mezzi fisici dell’allievo possano dare.

L’importanza della personalità del maestro non deve essere sottovalutata. Per il suo allievo, il maestro dovrebbe impersonificare l’arte delle armi nella sua totalità – le tradizioni di coraggio, cavalleria, buone maniere ed onestà. Egli potrebbe difficilmente essere rispettato se così non fosse. Solo incarnando queste tradizioni egli sentirà la dignità e l’orgoglio della sua professione. Se necessario, egli deve mostrare il coraggio del suo orgoglio senza mezzi termini.

Il nobile privilegio del Maestro di Scherma è quello di difendere e di accrescere il prestigio, la passione e la poesia della scherma, e di instillarli nel cuore e nella mente dell’allievo. Mentre egli deve essere in grado di trattare adeguatamente il lato spirituale dell’arte, il suo scopo e la sua fatica sono quelli di dimostrare la bellezza architettonica della scienza e l’armoniosa semplicità delle sue regole. Solo con la completa devozione alla sua professione terrà fede al suo dovere – aiutare ad onorare la scherma e ad allargare il suo posto onorato tra le attività più lodevoli dell’uomo.

 

 

 

36 – RAGAZZI, NON SIETE SPECIALI

1° Giugno 2012: David McCullough Jr., professore della Wellesley High School, tiene un discorso che diventa virale nel giro di pochi giorni. Eccone un sunto:

Nessuno di Voi è speciale. No non siete speciali, non siete eccezionali.
E’ vero, siete stati viziati, coccolati e protetti. Adulti competenti, pur avendo altro da fare, vi hanno tenuto in braccio, baciato, nutrito, pulito la bocca, pulito il sederino. Vi hanno fatto esercitare, ascoltato, dato consigli, incoraggiato e consolato. Siete stati esortati, persuasi, lusingati e implorati. Vi hanno festeggiati, amati e chiamati “tesorucci”. Sono stati alle vostre partite, alle vostre recite, alle vostre esibizioni ….
E’ vero, i volti si illuminano quando entrate in una stanza e centinaia di persone ansimano deliziati ad ogni vostro cinguettìo e magari la vostra foto è apparsa sul quotidiano locale e ora avete conquistato le superiori e senza dubbio alcuno siamo qui, tutti, riuniti per voi, orgoglio e gioia di quest’onesta comunità.
Ma non provate, neppure per un istante, a pensare d’essere speciali perché non lo siete.
Le prove sono ovunque, numeri che nemmeno un insegnante d’inglese può ignorare.
In tutta la nazione non meno di 3 milioni e duecentomila studenti si stanno diplomando, proprio ora, in più di 37mila scuole superiori. Ma perché limitarci alla scuola superiore? Perciò pensate a questo: se anche foste 1 su un milione, su un pianeta di 6 miliardi e ottocento milioni, significa che ci sono quasi 7.000 persone identiche a Voi.
Vedete, se tutti sono speciali, allora nessuno lo è. Se tutti ricevono un trofeo, i trofei diventano insignificanti.
Non si tratta più di come giochi la partita, se vinci o perdi, o se impari, o cresci, o ti diverti facendolo.
Ora è “quindi cosa ci guadagno?” Così facendo screditiamo sforzi meritevoli e costruire una clinica in Guatemala diventa più importante per l’ammissione al celebre College Nazionale che per il benessere dei guatemaltechi stessi.
Per definizione, può esserci un solo migliore. Lo sei o non lo sei.
Se avete imparato una cosa in questi 4 anni spero sia più che per vantaggio materiale per la gioia dell’apprendimento. Spero abbiate anche imparato che, come ci ha assicurato Sofocle, la saggezza è il primo elemento della felicità. Confido, inoltre, abbiate imparato abbastanza da riconoscere quanto poco sapete. Quanto poco sapete ora in questo momento, poiché oggi non è che l’inizio. Ciò che importa è dove andrete partendo da qui.
Prima che vi disperdiate fra i venti vi sollecito a fare qualsiasi cosa facciate per nessun altro motivo se non che l’amate e credete nel suo valore. Non cedete ai facili agi della compiacenza, al falso luccichio del materialismo, alla narcotica paralisi dell’auto-appagamento.
Siate meritevoli dei vostri vantaggi e leggete, leggete tutto il tempo, leggete per una questione di principio, come un dovere di rispetto personale.
Sviluppate e proteggete la sensibilità morale e dimostrate il carattere necessario ad applicarla.
Sognate in grande, lavorate duramente, pensate con la vostra testa.
Amate qualunque cosa amiate, chiunque amiate, con ogni vostra forza e fatelo, per favore, da subito poiché ogni ticchettio dell’orologio si sottrae a sempre meno ticchettii.
Vi sarete resi conto che i padri fondatori si sono presi la briga di assicurarvi diritti inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Un verbo piuttosto attivo: ricercare. Questo, penso, ci lasci poco tempo per oziare guardando video di pappagallini sui pattini.
Il primo Presidente Roosvelt fu promotore della vita faticosa. Fortunatamente qualcuno, di tanto in tanto, incoraggia i giovani a cogliere il dannato attimo.
Il punto è lo stesso: datevi da fare non aspettate che sia la vostra ispirazione o passione a trovare voi. Alzatevi, uscite,  esplorate, trovatela per conto vostro. Prendete il toro per le corna.
Scalate la montagna non per piantarci la vostra bandierina bensì per cogliere la sfida,  godersi l’aria buona ed osservare il panorama. Scalatela perché possiate vedere il mondo non perché il mondo possa vedere voi.
Andate a Parigi per essere a Parigi non per depennarla dalla lista e congratularvi con voi stessi per essere persone di mondo.
Esercitate il libero arbitrio e una mente creativa indipendente non per le soddisfazioni che porteranno a voi ma per il bene che faranno agli altri, al resto dei 6 miliardi e ottocentomilioni ed a coloro che verranno dopo. E poi scoprirete che la grandiosa e  curiosa verità dell’umana esperienza è che l’altruismo è quanto di meglio possiate fare per voi stessi.
Le più dolci gioie della vita, allora, arrivano solo col riconoscimento che non siete speciali perché lo sono tutti.
Congratulazioni. Buona fortuna e create per voi stessi, per il vostro e per il nostro bene, vite straordinarie.

 

 

 

 

35 – QUANDO È DIFFICILE IMPARARE

 

La prima condizione che ostacola l’apprendimento è l’obbligo di assimilare le informazioni senza avere la possibilità di criticarle, verificarne le applicazioni pratiche e, se è il caso, modificarle. Questo procedimento chiama in causa l’apprendimento e la memoria, ma ha scarso effetto sugli altri livelli dell’intelligenza, perché non chiede di interpretare i contenuti che sono trasmessi e di impiegarli per trovare altre soluzioni o applicazioni personali.

Oggi, in vari settori dello sport, ci si ferma all’apprendimento e alla correzione degli errori senza chiamare in causa la critica, la proposta di idee e soluzioni personali, l’ingegno e l’iniziativa non guidata, tutti fattori essenziali per imparare. In questo modo, le informazioni sono disposizioni immodificabili solo da utilizzare, che non servono per interpretare e far evolvere le conoscenze acquisite.

Nella famiglia e nella scuola, si pensa di stimolare l’impegno e l’orgoglio con l’obbligo di essere sempre primi o di dover dare troppo e subito, e di fornire risposte sempre definitive e complete. O, nello sport, si devono imparare i gesti dei campioni e le tattiche per giocare come gli adulti e soddisfare attese non realistiche. Sono pretese che hanno effetti sulla sicurezza e la lucidità, perché alimentano il timore di commettere errori, mostrarsi inadeguati e subire un giudizio negativo.

Si vogliono anticipare i tempi dell’apprendimento, e quindi dei contenuti, che vorrebbe dire chiamare in causa addirittura strutture fisiologiche non ancora presenti. Pensiamo al pensiero astratto, che più tardi ci fa capire i ragionamenti e le spiegazioni logiche, e ci fa lavorare per un obiettivo non ancora presente, che il bambino non possiede ancora, perché vive solo ciò che è qui e ora ed è accessibile agli organi di senso. La scuola non cade in questo equivoco, mentre lo sport propone ancora la specializzazione precoce.

Si insegna ancora senza chiarire gli obiettivi, che sembra una mancanza di poco conto, ma impedisce di trovare una traccia su cui sviluppare ragionamenti e iniziative e, quindi, di creare e scegliere gli strumenti per raggiungerli. Nella scuola questo concetto può sembrare inapplicabile, ma se ad ogni passaggio verso la soluzione si fa precedere la spiegazione di dove si vuole arrivare, gli allievi sono motivati e interessati a raggiungerla da soli.

Nello sport, spesso si danno tutte le indicazioni sperando che l’allievo le trasformi in un gesto che dipende dall’istinto. L’esempio di una poltiglia di messaggi. Un tecnico straniero entusiasta della scienza, ma poco pratico della mente, che ha regole diverse da quelle del fisico e, spesso anche imprevedibili, espone una teoria curiosa: per insegnare, occorre filmare il gesto tecnico dell’allievo, scomporlo in tanti segmenti, rilevare tutti gli errori e, poi, farlo ricomporre giusto osservando il filmato. Pensare a un errore e, intanto, compiere un gesto tecnico che richiede di avvicinarsi all’esattezza dell’esecuzione, è del tutto improbabile, ma immaginare che il talento, che è frutto di intuizione ed esecuzione pressoché istantanee in risposta a una situazione improvvisa si esprima attraverso l’attenzione a non ripetere un errore già presente nella mente, è impossibile.

 

 

 

34 – Mantieni i tuoi valori

Mantieni i tuoi pensieri positivi
Perché i tuoi pensieri diventano parole
Mantieni le tue parole positive
Perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti
Mantieni i tuoi comportamenti positivi
Perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini
Mantieni le tue abitudini positive
Perché le tue abitudini diventano i tuoi valori
Mantieni i tuoi valori positivi
Perché i tuoi valori diventano il tuo destino.

— Mahatma Gandhi

 

 

 

33 – La sconfitta come “occasione” per crescere

 

“Il fallimento è un maestro di vita migliore del successo”.

Semplice, vero, inconfutabile. Ecco perché, ogni tanto, perdere fa bene. Sul serio.

Affermarlo è facile, viverlo e testimoniarlo è un po’ più difficile.

Viviamo in una società “drogata” di successo. Ogni giorno tentano di farci credere che la felicità sia legata a doppio filo al successo che uno ha nella vita. Niente di più falso. Il mondo di oggi è pieno di persone di successo profondamente infelici … ed è anche pieno di persone che inseguono il successo con il “miraggio” che possa renderle felici.

La felicità non ha mai cambiato casa. Abita sempre allo stesso posto. Nelle piccole cose, nelle relazioni con le persone, in quella dose di amore quotidiano per ciascuno di noi come la colazione al mattino. Ciò vale ovunque. Anche nello sport.

L’altro giorno ho assistito, per caso, ad una scena frequente. Al termine di una eliminazione diretta, con i ragazzi negli spogliatoi a fare la doccia ed i genitori fuori ad aspettarli, a commentare: «L’eliminazione di oggi è un dramma. Adesso partecipare alla fase finale sarà molto difficile. Abbiamo perso una grande occasione, le occasioni non si possono sprecare così…».

E se non fosse così? Se quella sconfitta fosse una “grande occasione” per aiutare quei ragazzi a crescere nella vita? Se su quella sconfitta si potessero costruire esperienze e ragionamenti per imparare a conoscere la vita?

Certo perdere non piace a nessuno. Dare il meglio di sé per provare a vincere è fisiologico e sarebbe contro natura ragionare diversamente. Ma è altrettanto vero che educare alla vita fa guardare alle sconfitte in un altro modo: non drammi da vivere ma occasioni necessarie ed indispensabili per crescere.

Mi sono chiesto spesso come una società sportiva valorizza la sconfitta dei propri Atleti. Si limita a dire che «non è successo niente» oppure la trasforma in un motivo per innestare riflessioni educative? Ed in che modo?

Noi abbiamo Società talmente vincenti che non si preoccupano per le sconfitte come abbiamo Società così poco vincenti che non si esaltano per le eventuali vittorie.

In entrambi le situazioni non sarebbe sbagliato fare un’analisi di quanto, di come e del perché è successo e forse questo potrebbe ridurre ulteriormente le sconfitte per le Società vincenti e forse potrebbe aumentare il numero delle vittorie per le Società meno vincenti.

 

 

 

 

32 – Partecipante al corso di Tecnico di 1° livello 2015

Buongiorno,
cari amici compagni di corso e a lei signor Morini.

Vi ruberò solo qualche minuto e spero che quello che ho scritto arrivi a toccare le “corde” delle persone giuste.
Forse vi chiederete chi ha scritto questa lettera e quindi chi io sia, ma non ha importanza:
Non sono niente e ancora nessuno in ambito schermistico, non ho mai solcato il podio di una gara o vinto qualcosa, ma così non hanno fatto i “miei” allievi.
Il mio nome non è noto, passa inosservato nonostante mi abbiano classificato come “perdente” già all’età di 9-10 anni perché in evidente soprappeso.
Eppure sono qua che sto cercando di imparare qualcosa di nuovo.
Vi garantisco che nonostante questo io oggi mi considero tutt’altro che perdente.
Sapete cosa significa iniziare di nuovo a fare sport dopo una forte caduta, distorsione o frattura?
Sono certa che qualcuno lo sa.
Avete la più pallida idea di quanto sacrificio ci vuole per dedicarsi ad un’attività per anni ricevendo un compenso minimo nella speranza di conquistare la fiducia dei propri maestri?
Sapete immaginare quanta passione ci voglia per trasmettere la voglia di mettersi in gioco ancora una volta ad un individuo che ha passato anni e anni in carrozzina davanti alla TV?
Ancora, mi sapreste dire come si fa a far innamorare un bambino autistico della scherma o quanta forza di volontà ci metta un ragazzo tetraplegico a buttare una pallina in un bersaglio o ad impugnare una spada? Ma anche molto semplicemente come si riesce a far si che ogni componente del gruppo, di vario genere che lavora in sala, si aiuti l’un con l’altro?
Beh, è molto importante avere qualcuno oltre al proprio maestro che ti aiuti nei momenti di difficoltà e che creda in te in modo da alimentare la passione che possediamo.
Credo che la passione sia la forza motrice che muove tutto!
Questa funzione la possiedono i compagni di sala e perdonatemi se ringrazio brevemente la mia compagna che ogni giorno dimostra di credere in me esattamente come faccio io con lei.
Ma ringrazio lei come tutto il gruppo ben unito … in fondo è questo che conta.
Ecco alcune di queste cose sembrano quasi impossibili eppure noi ci siamo riusciti.
Parlo al plurale perché provengo da una piccola Società e realtà che è stata costituita pochi anni fa da due istruttori che hanno iniziato a concepire la scherma in funzione dello sviluppo delle abilità insite in ognuno di noi, che molto spesso, soprattutto nelle persone disabili vengono sovrastate da quelle che sono le problematiche di funzionamento dell’individuo.
Perché vi dico questo?
Non per dire certamente che noi facciamo un lavoro migliore da quello svolto in altre società schermistiche, la nostra è soltanto una passione umile che portiamo avanti ponendoci obiettivi comuni.
Vi ho voluto raccontare, se così si può dire, un pezzetto della mia storia frequentemente, soprattutto quando si parla di persone con problematiche mentali che interagiscono in un allenamento si creano molti stereotipi e pregiudizi.
Vi garantisco che avere a che fare con bambini particolari o persone che presentano una disabilità mentale o fisica non è così diverso da quello che siamo abituati a vivere normalmente nelle proprie sale.
Per citare una persona a me cara vi lascio riflettere su questa frase “Correre dietro una palla, calciarla e sudare insieme ci rende tutti un po’ più uguali”. Lo sport unisce e migliora la salute psicofisica degli individui, questo è ciò che ne emerge.
Quello che realmente voglio dirvi è che se ci crediamo tutto si può fare.
Esattamente come hanno fatto questi due istruttori che ringrazio fortemente per avermi tramandato una passione veramente forte che rende vivi non solo quando siamo tra le quattro mura di una palestra, ma anche all’esterno sulla “pedana” della vita.
Questo voglio condividere con voi! La voglia di fare, di crederci e fare bene conoscendo e non improvvisandosi manager come nella storia del contadino o capi quando già ce ne sono troppe di “capocce” a comandare, come nel caso della storia sulla nazionale italiana di canottaggio.
Scusate il tempo che vi ho rubato oggi.
Grazie a voi compagni che fate parte di un gruppo con cui si lavora molto bene, a tutti i Maestri che pazientemente ci hanno spiegato la parte tecnica, agli insegnanti del Coni che hanno portato tutta la loro esperienza e sapere nella speranza che chi ha ascoltato abbia recepito per lo meno il 20% di quello che hanno detto, grazie all’armiere che si è dedicato a farci apprendere i tasselli base per un buon funzionamento dell’arma nonostante abbia paura che gli si possa rubare il lavoro (stia tranquillo non ne abbiamo intenzione), grazie, e qui mi permetto di parlare per tutti i presenti in sala, a Edoardo Morini ogni mattina con precisione da orologio svizzero ci ha ricordato che esiste anche la burocrazia e che ci ha lasciato delle piccole pillole di saggezza attraverso la sua raccolta di racconti.
Ragazzi sta a noi decidere di recepirle, assimilarle o ignorarle, ma lui intanto le ha lanciate commuovendosi nel leggerle.
Quindi sarà bene che, le pillole di saggezza di cui vi parlavo prima,  quest’uomo non le abbia lanciate per nulla! Raccogliamole e facciamone tesoro anche tra uno scherzo e l’altro. Sono storie di vita passata anche se sottoforma di aneddoti.
Maestri si diventa studiando, ma per diventare persone con la P maiuscola bisogna anche saper sfruttare ogni contesto per imparare umilmente da chi Persona lo è diventata.
Vi faccio un grande imbocca al lupo.

Firmato A.

31 – Non c’è sport senza agonismo, insegniamo ai nostri bimbi a saper vincere e saper perdere

doc1

 

Un nuovo articolo in collaborazione con il network Endu. “Noi adulti dobbiamo avere la maturità di rimanere in disparte, guardare i nostri bambini e imparare da loro. Aiutiamoli ad avere gli strumenti migliori per fare le scelte migliori e trovare la strada migliore, ma lasciamoli sbagliare, perdere e rialzarsi.  Accettiamo i loro difetti e i loro limiti, così come gioiamo per i loro talenti”.

di RICCARDO MARES*

 

QUANDO si parla di bambini, sport e agonismo, spesso il “dialogo” dilaga coinvolgendo non solo babbo-mamma, ma anche allenatori, arbitri, società, tifo. Di frequente si tratta di un ottimo momento costruttivo, ma a volte diventa un momento di delirio dove la costruttività e l’obiettivo primario (i bimbi) passano in secondo piano.

I punti di “scontro” più caldi sono:

·         eventi senza agonismo

·         bambini e ruoli (non inteso come “ruolo di gioco” ma ruolo nei confronti del gruppo)

La mia è solo una visione personale, anche se supportata da tantissimi anni passati tra sport di squadra e sport individuali (sempre a livello agonistico). Cercherò quindi di sostenere la mia visione con delle citazioni che ritengo in linea con il mio pensiero.
La prima cosa che voglio sottolineare è che non esiste sport senza agonismo: il concetto stesso di sport si basa sull’agonismo. Lo sport nasce come riduzione regolamentata della battaglia, come modo per placare la fame di guerra, limitando i danni. Hai mai guardato un gruppo di bimbi giocare? Non esiste gioco in cui non si mettano in competizione (e lo sport per i bambini DEVE essere un gioco e DEVONO divertirsi): maschi e femmine in modo diverso, solitamente i primi per essere il migliore, le seconde per migliorarsi, con tutti i mix del caso. Puoi farmi tutti gli esempi che vuoi: dalla briscola a nascondino, da 1-2-3 stella alla partita di calcio fatta con i fogli riciclati e il nastro da pacchi, per arrivare alle sfide con i videogiochi. Ritieni davvero possibile fare sport senza che chi vince riceva un tributo, di qualsiasi entità esso sia, per aver superato gli altri o se stesso? Gli sport individuali in realtà sono molto più crudi di quelli di squadra perché le scusanti e le accusanti sono ridottissime e spesso il confronto si fa con un freddo cronometro o con dei punteggi matematici. Lancio questa amichevole sfida: inventati qualsiasi tipo di gioco, proponilo a un gruppo di bimbi, spiega le regole e osserva!
L’altra cosa importante è che i bimbi hanno una totale capacità di riconoscere e riconoscersi un ruolo. Nella scuola, nella spavalderia, nella furbizia, nella ruffianaggine, in matematica, in italiano o in disegno. I bambini sanno benissimo chi è il top, chi è lo scarso e chi è il mediocre. Vogliamo davvero dissacrare questa regola naturale volendo fare passare il messaggio sacrilego che tutti i bimbi sono uguali, che tutti hanno le stesse capacità e gli stessi talenti?
Ci sono bambini più portati per attività sedentarie, chi per attività di studio, chi per lo sport. Ci sono i super bambini così come ci sono i bambini un po’ meno fortunati che non riescono ad emergere. Loro, i bimbi, tra di loro lo sanno benissimo. Il vero danno è quando gli adulti vogliono mettere ruoli ai propri figli che non hanno: quello può generare nei bimbi dei forti complessi sia di inferiorità sia di incapacità di raggiungere obiettivi che altri hanno prefissato.
Ritorno ad un punto per comprendere il concetto di bambini sport e agonismo: lo sport deve essere divertimento, il bimbo che perde non si diverte, il bimbo che non si accetta non si diverte, il bimbo che non è accettato non si diverte. A volte ci vuole un po’ di freddezza e di trasparenza: costringere un bimbo ad uno sport che non è nelle sue corde è il male per quel bimbo, così come è necessario trasferire ai bimbi l’importanza del cadere e poi rialzarsi, l’importanza di porsi obiettivi, l’importanza di avere dei “miti” da emulare, così come la capacità di accettare i propri limiti.
Ultimamente il mio mondo sportivo è la corsa e lo dico e scrivo sempre che la velocità è una cosa relativa (escludendo i professionisti). Ogni runner deve essere consapevole dei propri limiti, in grado di riconoscere realisticamente i propri avversari e cosciente che ci sono avversari irraggiungibili così come in grado di gioire per aver strappato qualche secondo da un personale.
Ritorno sul concetto della perdita, su cui si apre un tema enorme, ovvero quello dell’elaborazione della perdita: nel libro  “Scienza della negoziazione” George Kohlrieser spiega come le emozioni (soprattutto quelle negative) debbano essere accettate, digerite, processate e convertite in segnali positivi, in esperienza e in propositi. Questo dobbiamo passare ai nostri bimbi, che la perdita di una partita è un punto di ripartenza, di riflessione, di crescita.
Per concludere questo lungo post sulla tematica legata a bambini sport e agonismo, condivido alcune frasi tratte da un intervento di Julio Velasco, che oltre ad essere stato pluripremiato allenatore della più forte nazionale italiana di volley, è un appassionato studioso dell’uomo e del comportamento delle persone e che nella sua lunga carriera ha allenato bimbi, ragazzi, uomini, donne e da ogni esperienza ne ha tratto considerazioni per me speciali per semplicità e realtà.
Ecco alcuni passaggi delle sue riflessioni:

Lo sport nasce da due grandi fonti: uno sono i giochi che poi sono diventati sport man mano che venivano dettate delle regole; l’altra fonte è la guerra, il confronto violento che poi, anche nell’antichità, diventava torneo.

All’origine dello sport c’è uno dei valori tra i più importanti: come gestire l’aggressività e il confronto tra le persone, con delle regole e in modo divertente.

Come si fa a fare sport non agonistico. Sarebbe come chiederci: come si fa a fare un gioco tra bambini, il gioco delle figurine o delle biglie, in modo non agonistico? Anche il bambino gioca per provare a vincere.

In realtà, la competizione, l’aggressività, etc., sono caratteristiche dell’uomo che debbono essere incentivate, per cui se la scuola non le incentiva non si sviluppano.

Il conflitto, l’aggressività, la voglia di dare un cazzotto all’altro, tra i maschi esiste, ed è proprio uno dei valori tra i più importanti dello sport, per cui è importante dare spazio a questo aspetto – che c’è ed è molto forte – attraverso un’attività che ha delle regole e che è ludica e divertente per chi la fa e anche per chi la guarda.

Insegnare a vincere e insegnare a perdere è fondamentale a livello della scuola, a livello delle famiglie, perché non è vero che chi perde è una porcheria. […] E’ importante confrontarsi a livelli diversi, per cui qua io vinco, ma qua io perdo: come bambino che cosa capisco? Capisco che io sono più bravo di lui in una cosa e meno bravo in un’altra. […]  cioè insegnare a vincere e a perdere, insegnare che non siamo tutti uguali […] perché se io miglioro, sto vincendo contro i miei difetti, contro i miei limiti.

È chiaro, se sono tutti più forti di me, è probabile che io debba cambiare mestiere, perché c’è anche questo, ma questo non riguarda solo lo sport.

Chiudo: “colleghi” adulti ogni tanto dobbiamo avere la maturità di rimanere in disparte, guardare i nostri bimbi e imparare da loro. Certo, aiutiamoli ad avere gli strumenti migliori per fare le scelte migliori e trovare la strada migliore, ma lasciamoli sbagliare, perdere e rialzarsi. E quando sono in piedi confermiamo loro la medaglia al merito!
Accettiamo, in primis noi, i difetti e i limiti dei nostri bimbi, così come gioiamo per i loro talenti.

*Autore del network Endu (www.mag.endu.net)

 

 

 

30 – Non esistono bimbi scarsi: in squadra ciascuno è importante

Se uno ha la pazienza e il piacere di frequentare la vita vera delle società sportive incontra spesso storie di vita quotidiana straordinarie.
L’ultima che mi è capitata è quella di Giuseppe. Allenatore dell’Asd Azzurri Lissone Giuseppe ha acceso il suo Pc e ha scritto una lettera che dovrebbe essere appesa negli spogliatoi delle squadre di settore giovanile di tutta Italia.

Vale davvero la pena leggerla insieme:

«Sono 3 anni che trascorro il mio tempo libero in mezzo ai bambini che giocano a calcio. C’è chi gioca, chi ci prova, chi semplicemente sta nel campo aspettando che la palla passi dalle sue parti per tirare un calcio e dare un senso al suo allenamento.
Ne ho viste di tutti i colori: ho visto portieri salutare la mamma, ignari del fatto che la palla stesse carambolando lentamente in porta, ho visto difensori schierarsi alle spalle della porta. Ho visto rincorrere la palla oltre la linea laterale, portieri voler fare gli attaccanti e centravanti che hanno insistito per fare i portieri. Ho incontrato bambini che non volevano andare in panchina; altri che non volevano andare in campo. Ho visto bambini che tifano contemporaneamente Juve, Inter e Milan e portieri che volevano sfilarsi i guanti perché faceva caldo. Un bambino che voleva partecipare all’allenamento mentre il papà non voleva. Ho visto il contrario.

Non ho mai visto un bambino “scarso”. Sono sempre più convinto che la “scarsezza” non appartenga al mondo dei bambini. A loro è concesso tutto anche di definire “scarso” un proprio compagno o un avversario.

Agli adulti questa concessione non può essere fatta. Lo so, non tutti i bambini sono abili allo stesso modo nel calcio.

C’è chi è più abile a scuola, chi in piscina, e chi non vuole mostrare le proprie capacità agli altri. C’è chi conosce il rispetto per il prossimo, chi è abile nel tirar diritto nonostante qualcuno abbia tracciato per lui una strada tortuosa. C’è chi è capace di tirarsi indietro quando si accorge di non essere accettato e chi, invece, insiste nella propria passione, anche se per gli altri non è un campione. E c’è chi è più abile degli altri a giocare a calcio.

Gli allenatori lo sanno e i genitori lo vedono.

Ma cosa c’è di più bello che vedere il proprio figlio soddisfatto e contento anche per aver preso parte a una gara pur senza toccare una palla?
Cosa c’è di più commovente (e raro…) di un bimbo che gioisce di un gol del compagno come se fosse suo? Non ho mai allenato un bimbo “scarso”. Ho cercato sempre di scoprire il meglio di ogni bambino che mi viene affidato.
Vedere come gli si illuminano gli occhi quando calcia un pallone in porta o la smorfia di fatica e la soddisfazione di un portiere che ha appena sventato un gol, mi fa pensare che i miei bimbi sono tutti campioni.
Quando uno di loro mi abbraccia nel bel mezzo dell’allenamento, apparentemente senza motivo, e mi stringe come se volesse ringraziarmi di averlo fatto sentire importante, anche per 5 minuti, fa illuminare anche i miei occhi e mi fa pensare che nessuno dei miei bimbi è “scarso”.
Anche se riescono a non sporcarsi in un campo infangato, anche se lo scatto più veloce se lo riservano per correre negli spogliatoi a fine partita.

Anche se in campo dovessero perdere tutte le partite».

 

 

 

29 – IL RUOLO DEL GENITORE ALL’INTERNO DELLA SOCIETA’ SPORTIVA

 

I bambini debbono frequentare le Società sportive per fare un’esperienza di gruppo, al di là che lo sport che hanno scelto sia individuale o di squadra, per imparare a socializzare, a giocare ed ad amare il confronto con gli altri, perché è solo attraverso questo che impareranno a conoscersi meglio.

Paragoniamo lo sport ad un qualsiasi altro gioco tradizionale in cui la pratica stessa porta all’acquisizione di abilità ed alla differenziazione di un giocatore dall’altro.

Nel gioco scatta il meccanismo di confronto, osservazione ed imitazione dei diversi comportamenti e quindi attraverso l’esecuzione del gioco nella sua forma globale, cioè la tattica, si arriva ad apprendere ed allenare i gesti per migliorare l’esecuzione stessa, cioè la tecnica.

La formazione dell’atleta nella fase giovanile deve rispettare al massimo la sua personalità e concedere la libertà di esprimere le sue doti individuali in modo da renderlo creativo.

La scherma dunque è da considerarsi come “gioco” sia dal bambino, che si sente così libero di esprimersi, sia dai genitori e da coloro che lo seguiranno nell’attività propedeutica che poi eventualmente diventerà agonismo.

L’esperienza che egli farà con questa scelta educativa fa parte della sfera affettiva e non deve essere stravolta o tradita trasformando quello che deve restare un gioco creativo in una forma di coercizione.

Il bambino non è uno strumento per appagare l’amor proprio e l’orgoglio del genitore e dell’insegnante. Egli, oltre alle soggettive (e non poche) difficoltà di apprendimento, deve far fronte alle aspettative, spesso eccessive degli adulti che lo gestiscono. Questa responsabilità, in un individuo ancora fragile e in sviluppo, determina molte volte il fallimento, l’abbandono.

Un’atmosfera nella quale egli si senta non approvato, nella quale venga sistematicamente valutato negativamente dalle persone “significative”, nella quale sperimenti incapacità a livello di destrezza motoria, demolisce in lui la fiducia in sé, fa nascere sentimenti di inferiorità, causa insuccesso e conduce inevitabilmente al rifiuto dell’attività.

Pertanto per uno sviluppo positivo della fiducia in sé, requisito fondamentale di ogni successo, è necessario:

·         Stimolare precocemente l’autonomia del fanciullo;

·         Incoraggiarlo;

·         Creare in lui aspettative delle proprie capacità (non eccessive);

·         Rafforzare l’autostima con approvazione in casi di buona riuscita e comportamenti neutri in caso di insuccesso (non sfogare su di lui la nostra delusione);

·         Aiutarlo quando è in difficoltà anche con critiche appropriate, ma soprattutto sostenendolo dal punto di vista emotivo (rincuorandolo ed incoraggiandolo),

·         Motivarlo al miglioramento delle proprie prestazioni;

·         Fargli capire che essere differente (ad esempio meno forte degli altri) è cosa accettabile;

·         Riconoscergli il diritto di sbagliare e dargli l’impressione di essere sempre e comunque rispettato ed accettato.

Per riassumere qualche concetto pratico:

·         Non sostituirsi al Tecnico nella valutazione dei risultati, le componenti che le determinano sono moltissime e solo chi le capisce a fondo può valutarle opportunamente;

·         Non rimproverate Vostro figlio se non ha eseguito bene le esercitazioni, i bambini ce la mettono tutta e proprio quando non ci riescono hanno maggiore bisogno di comprensione;

·         Non valutare le prestazioni dei Vostri ragazzi su quelle degli altri, non imponete confronti ognuno va valutato per sé stesso;

·         Cercate di sviluppare l’autonomia, rendendoli consapevoli di ciò che fanno e rispettandone le scelte senza costrizioni;

·         Sottolineare positivamente il miglioramento, anche quando non corrisponde completamente alle vostre aspettative;

·         Non creiamo nei nostri figli aspettative troppo grandi; il mancato raggiungimento degli obiettivi che Voi avete dato per loro, crea delusione e non si concilia con lo sport. Impariamo ad apprezzare i bambini per ciò che sono e non per ciò che noi vorremmo fossero, non sono nati per appagare le nostre ambizioni o per ripagare le nostre frustrazioni, ma per crescere e diventare degli uomini e delle donne con il nostro aiuto e la nostra comprensione.

 

 

 

28 – AMORE ED UMANITA’

Ad una cena di beneficenza per una scuola che cura bambini con problemi di apprendimento, il padre di uno degli studenti fece un discorso che non sarebbe mai più stato dimenticato da nessuno dei presenti.

Dopo aver lodato la scuola ed il suo eccellente staff, egli pose una domanda:

“Quando non viene raggiunta da interferenze esterne, la natura fa il suo lavoro con  perfezione.  Purtroppo mio figlio  Shay non può imparare le cose nel modo in cui lo fanno gli altri bambini. Non può comprendere profondamente le cose come gli altri.

Dov’è il naturale ordine delle cose quando si tratta di mio figlio?”

Il pubblico alla domanda si fece silenzioso.

Il padre continuò:  “Penso che quando viene al mondo un bambino come Shay,  handicappato fisicamente e mentalmente, si presenta la grande opportunità di realizzare la natura umana e avviene nel modo in cui le altre persone trattano quel bambino”.

A quel punto cominciò a narrare una storia:

Shay e suo padre passeggiavano nei pressi di un parco dove Shay sapeva che c’erano bambini che giocavano a baseball.  Shay chiese: “Pensi che quei ragazzi mi faranno giocare?”

Il padre di Shay sapeva che la maggior parte di loro non avrebbe voluto in squadra un giocatore come Shay, ma sapeva anche che se gli fosse stato permesso di giocare, questo avrebbe dato a suo figlio la  speranza di poter essere accettato dagli altri a discapito del suo handicap, cosa di cui  Shay aveva immensamente bisogno.

Il padre si Shay si avvicinò ad uno dei ragazzi sul campo e chiese (non aspettandosi molto) se suo figlio potesse giocare. Il ragazzo si guardò intorno in cerca di consenso e disse: “Stiamo  perdendo di sei punti e il gioco è all’ottavo inning. Penso che possa entrare nella squadra: lo faremo entrare nel nono”.

Shay entrò nella panchina della squadra e con un sorriso enorme, si mise su la maglia del team. Il padre guardò la scena con le lacrime agli occhi con un senso di  calore nel petto.

I ragazzi videro la gioia del padre all’idea che il figlio fosse accettato dagli altri.

Alla fine dell’ottavo inning, la squadra di Shay prese alcuni punti ma  era sempre indietro di tre punti.

All’inizio del nono inning Shay indossò il guanto ed entrò in campo.

Anche se nessun tiro arrivò nella sua direzione, lui era in estasi solo all’idea di giocare in un campo da baseball e con un enorme sorriso che andava da orecchio ad orecchio salutava suo padre sugli spalti.

Alla fine del nono inning la squadra di Shay segnò un nuovo punto: ora, con due out e le basi cariche si poteva anche pensare di vincere e Shay era incaricato di essere il prossimo alla battuta. A questo punto,avrebbero lasciato battere Shay anche se significava perdere la partita?

Incredibilmente lo lasciarono battere.

Tutti sapevano che era una cosa impossibile per Shay che non sapeva nemmeno tenere in mano la mazza, tantomeno colpire

una palla.

In ogni caso, come Shay si mise alla battuta, il lanciatore, capendo che la squadra stava rinunciando alla vittoria in cambio di quel magico momento per Shay, si avvicinò di qualche passo e tirò la palla così piano e mirando perché Shay potesse prenderla con la mazza.

Il primo tirò arrivò a destinazione e Shay  dondolò goffamente mancando la palla.

Di nuovo il tiratore si avvicinò di qualche passo per tirare dolcemente la palla a Shay.

Come il tiro lo raggiunse Shay dondolò e questa volta colpì la palla che lentamente andò verso il tiratore.

Ma il gioco non era ancora finito.

A quel punto il battitore andò a raccogliere la  palla: avrebbe potuto darla all’ uomo in prima base e Shay sarebbe stato eliminato e la  partita sarebbe finita.

Invece…

Il tiratore lanciò la palla di molto oltre l’uomo in prima base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.

Tutti dagli spalti e tutti i componenti delle due squadre incominciarono a gridare: “Shay corri in prima base! Corri in prima base!”

Mai Shay in tutta la sua vita aveva corso così lontano, ma lo fece e così raggiunse la prima  base.

Raggiunse la prima base con occhi spalancati dall’emozione. A quel punto tutti urlarono: “Corri fino alla seconda base!”

Prendendo fiato Shay corse fino alla seconda trafelato.  Nel momento in cui Shay arrivò alla seconda base la squadra avversaria aveva ormai recuperato la palla.

Il ragazzo più piccolo di età che aveva ripreso la palla quindi sapeva di poter vincere e diventare l’eroe della partita, avrebbe potuto tirare la palla all’uomo in seconda base ma fece come il tiratore prima di lui,la lanciò intenzionalmente molto oltre l’uomo in terza base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.

Tutti urlavano: “Bravo Shay, vai così! Ora corri!”

Shay raggiunse la terza base perché un ragazzo del team avversario lo raggiunse e lo aiutò girandolo nella direzione giusta.

Nel momento in cui Shay raggiunse la terza base tutti urlavano di gioia.

A quel punto tutti gridarono: “Corri in prima, torna in base”!!!!

E così fece: da solo tornò in prima base, dove tutti lo sollevarono in aria e ne fecero l’eroe della partita.

“Quel giorno (disse il padre piangendo) i ragazzi di entrambe le squadre hanno aiutato a portare in questo mondo un grande dono di vero amore ed  umanità”.

Shay non è vissuto fino all’estate successiva.

E’ morto l’inverno dopo ma non si è mai più dimenticato di essere l’eroe della partita e di aver reso orgoglioso e felice suo padre.. non dimenticò mai l’abbraccio di sua madre quando  tornato a casa le raccontò di aver giocato e vinto.

 

 

 

27 – LA FORZA DEI GIOVANI: CREDERE NEI SOGNI

Lo scrittore Carlo Carretto, parlando del metodo con cui educare i figli, ammoniva a non togliere interamente il dolore dalla strada dei ragazzi, perché si toglierebbe il “meglio”.

Gli uomini che hanno raggiunto un certo benessere – diceva – credono di educare bene i loro figli evitando loro queste prove che essi stessi hanno dovuto sostenere: pensando in fondo che queste prove, quei sacrifici li abbiano sminuiti, mentre in realtà erano la loro grandezza; così convinti rendono i loro figli deboli, impreparati alla vita, proprio perché tolgono dalla loro vita lo sforzo, il sacrificio.

Quanta attualità si nasconde in questo pensiero di Carretto! Quanti danni irreparabili si compiono oggi nell’educare i figli con troppa morbidezza, e quanti danni si continuano a fare riempiendo di cose la loro vita! Alleviamo ragazzi ricchi di cose e poveri di cuore. C’è in loro un disagio evidente, che non cogliamo solo perché ci ostiniamo a chiudere gli occhi. Galleggiano in un benessere materiale che non esaurisce il loro desiderio di umanità, che non riempie la loro vita, che non dà risposta alle loro domande esistenziali. Giovinezza è partire alla ricerca del significato del mondo, per costruirvi sopra il proprio modo di essere. E’ una ricerca morale, alla quale oggi si contrappone però un mondo degli adulti che non crede più nella moralità, che è pieno di “scaldali”, che fa abuso della retorica per interpretare il bisogno di etica pubblica dei giovani come bisogno di rigore. E se il desiderio di etica e di verità dei ragazzi rimane inascoltato o represso, si genera in loro scontento e sfiducia nell’avvenire. Bisognerebbe invece  coltivare, indirizzare, allenare quel desiderio di ricerca, quella forza misteriosa che spinge i ragazzi a sognare il modo di cambiare il mondo.

Anche lo sport può essere un ottimo strumento per riuscirci. Lo sport non allena solo i muscoli, allena il desiderio ad essere migliori, allena il cuore a sperare di raggiungere la meta, allena la fatica, il sacrificio, l’ostinazione a ricominciare mille volte daccapo per vincere.

Lo sport educativo è questo. Come ogni azione educativa, anch’esso richiede un’assunzione di responsabilità, una corresponsione collettiva; chiede adulti che sappiano farsi compagni di strada di ogni ragazzo, perché ogni giovane ha bisogno di un adulto che gli dica: “vai avanti, lotta, dai il meglio di te stesso, non aver paura. Io sono con te.”

 

 

 

26 – Marcel Marceau

“ Considero la scherma come una grande arte capace di portare l’uomo ad essere cavalleresco nei suoi pensieri e nel suo comportamento.

La scherma è scuola di umiltà, sviluppa prontezza, equilibrio, senso della bellezza, completa l’armonia del vivere senza mortificare la fantasia e il naturale istinto del singolo: amplifica l’intelligenza.

Ogni schermitore è acrobata, attore, ballerino, esecutore sensibile alla velocità, alla tempestività, alla vigoria ed al ritmo.

La scherma insegna a prendere dominio di se stessi, a rispettare gli altri per ciò che essi sono nel comune senso delle regole.

E laddove esista la padronanza ragionata del sé l’uomo impara a portarsi oltre l’irrazionale e conquista la più preziosa meta della vita: la libertà.”

Marcel Marceau

 

 

 

25 – LO SPORT METTE IL TURBO AL RENDIMENTO SCOLASTICO

Una ricerca dimostra che il 48% dei giovani che fanno esercizio fisico studiano tre ore in più alla settimana, perdono meno giorni di scuola e fanno poche assenze ingiustificate. Bastano solo cinque minuti al giorno di allenamento per avere risultati migliori
ROMA – Fare sport fa bene al corpo. E alla mente degli studenti. Lo certificano gli scienziati dell’Università del Montreal: l’attività fisica aumenta la capacità di concentrazione, il livello di attenzione e di autocontrollo e permette di ottenere migliori risultati scolastici. Lo studio, pubblicato sugli Annals Journal of Health Promotion, è stato condotto su circa 2.700 studenti canadesi nati tra il 1997 e il 1998. “L’ambiente dello sport è da sempre un luogo sano che tiene impegnati i ragazzi in maniera virtuosa, con benefici come lo sviluppo del senso di gruppo e di cooperazione, il rispetto dei ruoli, il senso di responsabilità”, spiega Andrea Grasso, specialista in Ortopedia e direttore del Trauma Sport Center della casa di cura Villa Valeria di Roma.

“Questo ha effetti diretti sul comportamento e il rendimento scolastico, ma soprattutto il senso di autodisciplina acquisito nello sport si riflette anche nell’attenzione in classe e nello svolgimento dei compiti a casa. Le numerose ricerche condotte sull’argomento hanno messo in luce molti effetti positivi di una regolare attività fisica e sportiva: i giovani atleti hanno voti più alti della media, specialmente nella lingua madre e in matematica, si diplomano in tempo e fanno meno assenze”, prosegue Grasso. “Una interessante ricerca inglese su 5mila ragazzi ha rilevato, ad esempio, che un esercizio di 17 minuti in più al giorno per i maschi e 12 minuti per le femmine migliora i risultati scolastici nelle materie scientifiche e i benefici perdurano negli anni successivi”.

Gli studi dimostrano che anche dopo soli cinque minuti di attività fisica i soggetti mostrano risultati migliori nei test che misurano abilità intellettuali. Ma lo sport ha effetti anche sulla quantità e qualità dei compiti a casa: il 48% degli atleti si dedica allo studio a casa per tre ore in più alla settimana rispetto a coloro che non fanno attività extra-curriculare. Gli studenti di medie e superiori che fanno sport perdono il 51% in meno di giorni di scuola e presentano il 42% in meno di assenze ingiustificate. Inoltre i giovani atleti sono meno coinvolti in risse e atti vandalici, rispettivamente il 27 e il 28% in meno.

L’attività fisica limita anche il rischio di obesità e porta a uno stile alimentare più sano ed equilibrato. Grasso spiega che le ricerche effettuate scansionando il cervello di un gruppo di persone cronicamente sedentarie che si sono sottoposte a un training fisico hanno evidenziato un aumento del volume dell’ippocampo, la zona del cervello associata a memoria e apprendimento. “La salute dei giovani sportivi è sempre più tutelata”, sottolinea lo specialista. “L’attività agonistica è regolamentata dal decreto ministeriale del 18 febbraio 1982, mentre quella amatoriale ludico-motoria e quella non agonistica sono disciplinate dal Decreto ministeriale del 24 aprile 2013 e dall’art. 42-bis della Legge 09/08/2013 n. 98. Inoltre si tiene conto delle Linee guida emanate del ministero della Salute. Il certificato di idoneità sportiva è a tutela degli atleti di ogni età, non solo agonisti”.

 

 

24 – LIVIO BERRUTI

Per formare un giovane servono due sport: il primo, individuale, proprio come l’atletica, per imparare ad assumersi le responsabilità. Il secondo: di squadra, per smorzare l’animo a chi è troppo pieno di sé, insegnandogli l’importanza della collaborazione. Lo sport dovrebbe tornare ad essere una forma di educazione sociale e civile. Soprattutto in un momento come questo, in cui la famiglia spesso fallisce a livello educativo. Lo sport rappresenta l’unico strumento ancora capace di insegnare a rispettare le regole e gli altri. Se chi governa non lo comprende, perde la possibilità di fornire ai propri giovani gli insegnamenti che serviranno loro nel futuro, anche nel mondo del lavoro. Persino le aziende hanno capito da tempo che chi pratica sport ha in sé qualcosa in più degli altri per combattere le quotidiane battaglie di vita e lavoro.

 

 

23 – La storia dell’asino

Un giorno, l’asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era ferito, ma non riusciva a risalire da solo. Per questo l’animale pianse fortemente per molte ore, mentre il contadino pensava a cosa fare.

Finalmente, il contadino prese una decisione crudele; concluse che l’asino era già molto vecchio e che il pozzo era asciutto e che doveva essere tappato comunque. Pertanto non valeva la pena di sforzarsi molto per tirare fuori l’asino dal pozzo.

L’asino non tardò a capire cosa stessero facendo di lui e pianse disperatamente. Però, con la sorpresa di tutti, l’asino si calmò dopo aver preso quattro palate di terra. Il contadino guardò sul fondo del pozzo e si sorprese di quello che stava vedendo. Ad ogni palata che cadeva sulle spalle, l’asino si scuoteva, così metteva le zampe sulle terra che cadeva. Così in poco tempo, tutti videro come l’asino riuscì ad arrivare in cima al pozzo, uscire da lì e andarsene trotterellando.

La vita ti tirerà molta terra, tutti i tipi di terra. Principalmente se sei già dentro il pozzo. Il segreto per uscire dal pozzo è scuotersi la terra che si prende sulle spalle e fare un passo sopra di lei. Ogni nostro problema è un gradino che ci conduce in cima. Possiamo uscire dai buchi più profondi se non ci daremo per vinti. Accetta la terra che ti buttano, questa può essere la soluzione, non il problema.

Grazie a Deborah per avermi fatto conoscere questo racconto

 

 

22 – Il maestro di scherma

In misura fuor di dubbio superiore a quella di qualsiasi altra disciplina agonistica non potrebbero esistere vittorie schermistiche senza il diretto contributo del Maestro. Si può infatti imparare a nuotare, a correre, a sparare da soli ma non può esistere lo schermidore autodidatta. Il Maestro è infatti indispensabile ed insostituibile quanto l’arma stessa che impugna l’allievo. Il compito di un Maestro coscienzioso è fra tutte le attività didattiche uno dei più impegnativi, complessi e difficili.

Insegnare la scherma a scopo agonistico non vuol dire limitarsi a perfezionare la meccanica motoria, la perfetta esecuzione dell’a-fondo o a disquisire sulle parate di tasto o di contro. Dal giorno in cui l’allievo varcherà per la prima volta la soglia della sala d’armi il Maestro potrà diventare per lui non solo l’insegnante, il preparatore, il perfezionatore ma anche, molto spesso, la guida, il sostegno morale, il fidato amico più anziano, il consigliere, talvolta il sostituto della figura paterna. Il rapporto Maestro-allievo diventa comunque, un inscindibile binomio che resterà tale per tutta la vita. E’, o dovrebbe essere per l’allievo, un rapporto di affetto, di rispetto, di intima e profonda devozione e gratitudine. Lo schermidore sa e sente che del proprio successo, della affermazione del proprio io, è e sarà sempre debitore all’opera inimitabile del suo Maestro ch’egli considera unico.

E’ solo il Maestro che può condividere consapevolmente e paternamente aspirazioni e speranze, fatiche e sacrifici, amare delusioni nella lunga strada che può portare alla sognata vittoria.

 

Mangiarotti/Cerchiari

 

 

21 – Insegnare a imparare

Guadagnarsi la disponibilità dell’allievo a imparare e porre richieste adeguate all’età e alle possibilità è essenziale, ma occorre anche chiamarlo in causa perché percorra tutto il tragitto verso la conoscenza, quasi senza accorgersi di essere aiutato.

In pratica, quasi scambiare i ruoli come fosse lui a insegnarci come arrivare alla soluzione. Si tratta di non fare tutto per mostrare «come si fa», ma di assisterlo mentre prova, e di intervenire soltanto se indispensabile o non ce la fa da solo.

Questo tipo di insegnamento va preparato. Innanzitutto, abituando gli allievi ad un clima collaborativo in ogni fare dell’attività, che significa soprattutto sollecitare i loro contributi e metterli in pratica. E poi, di informare su dove si vuole arrivare o sulle ipotesi da valutare, rispondere alle loro domande per stimolarli a partecipare, chiarire meglio gli obiettivi e rispondere alla loro curiosità e al loro desiderio di sapere. E di lì lasciare che trovino i percorsi più appropriati per raggiungere gli obiettivi.

Sul pratico, occorre non dare la soluzione, perché limitarsi a ripetere il procedimento «finché lo capisce e lo ricorda da solo» serve per la memoria, ma ha poco a che fare con l’iniziativa personale, la scoperta e la critica: è più importante la soluzione che l’allievo sa trovare da solo rispetto a cento soluzioni che si limita a ripetere.

Come aiutare a trovarla? Innanzitutto, discutere insieme le premesse e i percorsi per trovare la soluzione, e poi dare solo le indicazioni perché si costruisca i passaggi da solo. In questo modo, la conoscenza non si perderà più, perché l’allievo è portato a capire con il suo ragionamento. E, infine, confermiamo la validità delle loro opinioni o, almeno lo valorizziamo perché le propongono, e li portiamo ad acquisire la certezza di saper imparare.

In questo facile procedimento, quindi, si verificano importanti effetti educativi. L’allievo si sente «riconosciuto» da un adulto significativo, e rassicurato, perché le sue opinioni sono apprezzate e impiegate. Rafforza l’autonomia, perché si abitua a non avere sempre bisogno di essere portato per mano, può verificare il valore e la correttezza delle proprie opinioni, acquisisce responsabilità nei confronti dei compagni e si abitua all’iniziativa libera anche nell’attività sportiva. Acquisisce coraggio per tentare il nuovo anche quando c’è il rischio dell’errore. Impara a non esser troppo azzardato e a correggersi, perché può contare sulla verifica degli altri. E, importante, esercita critica e creatività, così che partecipa ad una formazione e non ad un addestramento.

Non tutte le opinioni, le ipotesi e le prove, ovviamente, sono sempre o subito valide e utilizzabili. In questo caso, analizziamo e correggiamo insieme quelle sbagliate, e moderiamo e completiamo quelle azzardate o incomplete.

 

Per gentile concessione Edizioni Minerva Medica

 

 

 

20 – Il maestro

Se dovessi descrivermi come maestro direi di essere tecnicamente l’ultimo degli ultimi….ma sicuramente ho sempre avuto ben in mente quale maestro sarei voluto essere…quello che che io avrei voluto sempre avere….
il maestro che mi rimprovera se non lavoro, spronandomi a fare meglio….il maestro che mi chiama se mi assento e mi chiede “tutto.ok?”…il maestro che stressa se non vado bene a scuola e parte con la storia della sua vita…il maestro che mi chiede se ho la morosa e pretende che gliela presenti…il maestro che mi asciuga le lacrime e un momento dopo mi digrigna i denti se assumo una postura dimessa…il maestro che mi dice “io non ti insegneró a vincere ma a non mollare mai”…il maestro che parte per una gara con un solo allievo pur di motivarlo…il maestro che mentre chiude la luce, se gli chiedo di far lezione, la riaccende e si mette il piastrone…il maestro che mi ripara il fioretto e come ricompensa si accontenta di un grazie…il maestro che cerca di far risparmiare la mia famiglia, che non guasta…il maestro che mi offre un panino, durante una trasferta, perché ho dimenticato i soldi…il maestro che vuole che lo saluti come quando ero piccolo, anche se ormai sono grande…il maestro che si mette sempre in discussione e ad ogni gara torna più carico degli allievi perché deve sperimentare nuove cose che ha visto fare ad altri…il maestro che oggi si fa così, ma domani non va più bene, perché la scherma cambia…il maestro che se incrocia il mio sguardo capisce subito se ho qualcosa che non va…il maestro che anche in estate non ci lascia in pace, perché in estate si fa la preparazione atletica.
…questo voglio essere e questo sarò…

M° Vincenzo Cordova

 

19 – IL RIMORSO

 

Qualche tempo fa quando un gelato costava molto meno di oggi, un bambino di 10 anni entrò in un bar e si sedette al tavolino. Una cameriera gli portò un bicchiere di acqua. “Quanto costa un gran cono” chiese il bambino. “Cinquanta centesimi” rispose la cameriera. Il bambino prese delle monete dalla tasca e cominciò a contarle. “Bene quanto costa un gelato semplice?”

“35 centesimi!” gli rispose la ragazza in maniera brusca. Il bambino contò le monete ancora una volta e disse: “Allora mi porti un gelato semplice!”

In quel momento c’erano altre persone che aspettavano e la ragazza cominciava un po’ a perdere la pazienza.

La Cameriera gli portò il gelato e il conto. Il bambino finì il suo gelato, pagò il conto alla cassa ed uscì. Quando la cameriera tornò al tavolo per pulirlo cominciò a piangere, lì ad un angolo del piatto, c’erano  15 centesimi di mancia per lei.

Il bambino aveva chiesto il gelato semplice per riservarle la mancia.

 

 

18 – LA GARA DEI RANOCCHI

 

“C’era una volta una gara … di ranocchi. L’obiettivo era arrivare in cima a una gran torre. Si radunò molta gente per vedere e fare il tifo per loro. Cominciò la gara. In realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima , e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo: “Che pena!!! Non ce la faranno mai!”
I ranocchi cominciarono a desistere, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima. La gente continuava “…che pena!!! Non ce la faranno mai!…” E i ranocchi si stavano dando per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava a insistere. Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine la cima. Gli altri volevano sapere come avesse fatto. Uno degli altri ranocchi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere la prova. E scoprirono che … Era sordo!

Siate sempre sordi quando qualcuno vi dice che non potete realizzare i vostri sogni.”

 

 

 

17 – La mia ora preferita

        di Riccardo

 

17 – poesia

 

 

16 – IL FALLIMENTO È UN’ABITUDINE DEI VINCENTI

L’altro giorno Matteo, 12 anni, era distrutto: aveva saputo di essere stato escluso dalla rappresentativa regionale della sua categoria. Il mondo gli è crollato addosso. Salendo in macchina per tornare a casa ha detto chiaro alla sua mamma: «Basta, io con il calcio ho chiuso». Capita spesso ai ragazzi di oggi di voler mollare dopo il primo fallimento. Spesso sono cresciuti in una cultura che li ha abituati a pretendere tutto e subito, possibilmente senza fatica. Ma la mamma di Matteo ha detto al figlio una cosa che andrebbe raccontata a migliaia di giovani: «Senti Matteo. Non sei il primo a cui capita di fallire una prova. Ti racconto una storia. Un giovanotto di Brooklyn si presentò ai provini della squadra di basket della sua città, la Laney High School del North Carolina. Non andò bene, e il coach della squadra gli consigliò, senza mezzi termini, di continuare con il baseball (che era il suo secondo sport). Ma a lui piaceva troppo il basket, e non aveva nessuna intenzione di rinunciare al suo sogno di diventare un giocatore di basket.

Invece di demordere, il giovanotto iniziò ad allenarsi con impegno sfidando il fratello maggiore Larry nel giardino di casa, giorno dopo giorno.

Larry non solo era più grande ma – con il canestro – ci sapeva fare ed era già una piccola promessa del basket locale. Per vincere la prima sfida contro il fratello quel giovanotto ha impiegato quasi due anni, ma alla fine ha realizzato il suo sogno di diventare un giocatore di basket professionistico.

Non solo: è riuscito a ritagliarsi una carriera stellare. Il suo nome è Michael Jordan. Sai cosa ha detto una volta quando gli hanno chiesto quante partite aveva vinto? Ha risposto così: “Non me lo ricordo. Ma so che nella mia carriera ho sbagliato più di 9 mila tiri. So che ho perso quasi 300 partite.

Ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. Allora, caro Matteo, non mollare… la vita è fatta così. Bisogna perdere per essere vincenti. Bisogna fallire per ottenere successi. Bisogna faticare per conquistare qualcosa.

Perciò, caro Matteo, non dare retta a una società e a un mondo che ti vogliono far credere di essere un perdente ogni volta che sbagli qualcosa. Tu vali tanto, anche se non ti hanno preso nella rappresentativa. Vali tanto, anche se non diventerai mai un campione».

 

 

15 – Il vecchio e il bambino

Commentando una fotografia che mostrava

un’anziana insegnante e un piccolo allievo,

posti di profilo, che si guardavano negli occhi

con rispetto e dolcezza, l’antropologo

americano J. Campbell scrisse che nulla meglio

di quella foto riusciva a simboleggiare il

rapporto tra il bambino e l’anziano come

eternità che si rispecchia in un’altra eternità. Il

passato e il futuro che entrano in rapporto per

generare la storia. E aggiunse: se si riesce a

stabilire una relazione sociale che permetta al

principio dell’eterna esperienza (l’anziano) di

guardare verso l’eterna innocenza (il bambino)

per aiutarla a crescere, allora si riesce a dare

risposte adeguate ai problemi del presente.

Si tratta di una potente metafora, che si sviluppa

su più livelli. Certamente sta a significare che in

un’associazione che vuol crescere

equilibratamente è indispensabile il dialogo tra

generazioni. Ma qui “bambino” ed “anziano”

stanno a significare anche due “nature”, due

diversi approcci all’esperienza sportiva che

convivono in ognuno di noi: quello che tende a

“scoprire” il mondo come novità, e quello che

tende a interpretare ogni cosa alla luce delle

esperienze già fatte. C’è la necessità, per noi

tutti, di ritrovare lo “stupore infantile”, inteso

come potere di stupirsi continuamente del

mondo, conservando però la capacità di inserire

il “nuovo”, la “scoperta”, all’interno del proprio

bagaglio di esperienze, fuori da ogni logica

separatoria. Non è una cosa facile. Ne “Il

piccolo principe” Antoine de Saint-Exupéry fa

dire al suo protagonista: “Tutti i grandi sono stati

bambini una volta (ma pochi di essi se ne

ricordano)”. A volte sentiamo nell’anima la voce

del “bambino”, che ci spinge all’avventura, ci

invita ad uscire allo scoperto, ad abbandonare

le gabbie dell’abitudine, la tentazione degli

accomodamenti facili, le recite dettate dai

convenevoli, le liturgie degli affari e delle

chiacchiere inutili. Ma subito dopo sentiamo

anche la voce del “vecchio” che ci richiama ad

una visione meno faticosa e scomoda, che ci

costringe a rientrare nella prudente normalità,

inchiodandoci ai limiti sperimentati. “Non

cercare fastidi – sembra che dica quella voce-.

Accontentati di quello che stai facendo. Adattati

come fanno tutti. Ridimensiona le tue

aspirazioni. Accorcia i tuoi ideali. Stai al sicuro.

Non allontanarti troppo dal recinto”. Forse la

nostra vera età non è quella anagrafica, è quella

data dal prevalere in noi della voce del

bambino o di quella del vecchio. Restiamo

giovani nella misura in cui troviamo la forza di

non rintanarci nel recinto fatto di schemi

collaudati, di calcoli prudenziali, di abitudini

condivise. Forse cominciamo ad invecchiare

quando la voce del vecchio diventa suadente,

invece di apparire fastidiosa.

Anche la nostra fedeltà all’impegno associativo

si gioca lungo questa linea sottile: sul versante

del sognare le avventure più audaci e sul

versante della ragionevolezza e degli

accomodamenti.

A maggior ragione oggi, quando tutto il contesto

che ha fatto la vita e la storia dell’associazione

sembra improvvisamente diventare labile e

mutevole: non si comprende bene dove stiano

andando l’associazionismo, lo sport, la società.

Ogni giorno sembra coagularsi immagini diverse

di queste realtà, che poco dopo si rivelano

inattendibili, improbabili. Ecco che anche per

noi diventa di attualità la ricerca dello “stupore

infantile”, la capacità di guardare con

“innocente meraviglia” al mondo che è intorno a

noi, con una visione in cui l’esperienza ha

certamente un ruolo, ma solo se la concepiamo

come una costruzione aperta che dobbiamo

continuamente rinnovare e non come il

“palazzo del passato” in cui sigillare ogni

interpretazione del nuovo.

Nella lotta incessante tra il “vecchio” e il

“bambino”, il bambino è colui che ha la voce

più flebile. È difficile seguire il consiglio del

Piccolo Principe per cercare di recuperare il

bambino che è in noi. Ma è nostro obbligo

provarci, perché senza lo “stupore infantile” è

davvero difficile pensare di dare soluzioni

nuove a problemi antichi.

 

 

14 – CHI HA RUBATO I VALORI DELLO SPORT

Premetto che non amo praticare sport, sono pigra e un po’ goffa e la maggior parte delle discipline sportive mi annoia.

Ho provato molti sport, ma per un motivo o per l’altro non mi sentivo a mio agio.

Gli unici che mi piacciono veramente sono il nuoto e la pallavolo.

A nuotare mi diverto, e sono pure abbastanza brava ma ho la sinusite e il cloro della piscina fa solo peggiorare il mio raffreddore cronico.

Allora, perché non pratico pallavolo?

Semplice ho trovato persone che mi abbattevano, degli allenatori che osannavano le più brave massacrando le altre. Io ovviamente ero fra le altre.

La pallavolo, come molti altri sport, dovrebbe creare complicità e amicizia all’interno di una squadra che, anche in caso di errore, è pronta a perdonare e aiutare.

Ma non è sempre così.

Si è gelosi di un altro membro, si è accecati da una competizione sbagliata, si viene maltrattati e si maltratta.

Lo sport ha dei buonissimi valori, solo che, nel mio piccolo, non li vedo rispettati nemmeno nelle partite a scuola.

La lealtà, l’amicizia, la sana competizione, lo scoprire i propri limiti, la voglia di migliorarsi, la costanza, la passione fanno nascere delle persone consapevoli e tutti questi valori si riscontrano in ogni sport, dal calcio alla danza, dalla pallacanestro al tiro con l’arco. In tutti.

Secondo me non vengono rispettati perché non ci sono buoni modelli: molti atleti sono famosi grazie a degli atti scorretti come la celebre testata di Zidane a Materazzi nella finale dei mondiali di calcio, oppure il doping che porta la vittoria e la morte contemporaneamente.

Noi ragazzi che esempi abbiamo? E’ quasi ovvio che i miei coetanei si diano a scorrettezze e sgarbi in una partita o in una gara. Spesso i genitori li incitano, ho sentito molte volte durante una partita, anche tra bambini di sei o sette anni, madri e padri che urlavano delle frasi mostruose tipo:

“spezzagli le gambe!!” “rompigli l’osso del collo e fagli vedere come si gioca!”, perché non urlare: “stai giocando bene ma devi correre più veloce” oppure “buttati su quel lato che è più debole”. No. Nessuno dà consigli o incita bonariamente i propri figli che, molto probabilmente, tra qualche anno andranno allo stadio pieni di fumogeni e di rancore per l’altra squadra arrivando a distruggere metà della città e la propria dignità.

In questo momento lo sport insegna i valori facendone vedere l’opposto.

Educa, facendone vedere i maleducati.

Che razza di insegnamento è?

Ci sono persone che vedendo ciò che succede si spaventano e sono schifati ma altre che credono che siano giusti e li imitano. Questo è un rischio.

Ma sembra che si preferisca rischiare anziché essere sicuri.

La colpa non è solo dovuta allo sport, come non è tutta dei genitori. Ma non voglio fare discorsi retorici che si sentono continuamente al telegiornale. Voglio solo dire che lo sport viene soppresso e che al posto del divertimento, suo scopo principale, viene una fabbrica di mostri pieni di sé, egoisti e quasi cattivi. Lati del carattere che invece nella vita di tutti i giorni restano nascosti.

Vorrei che questa fabbrica cambiasse prodotti: persone gentili, leali, responsabili e consapevoli.

Forse così riuscirei ad amare lo sport.

Tema di una bimba di Pisa di 12 anni.

 

 

 

13 – IL Sorpasso

“Preferisco essere superato che seguito.”

Purtroppo sono rari i Maestri che accettano di essere superati. Ancor più rari quelli che ti sollecitano al sorpasso e ne sono lieti.

La maggior parte di essi, quando hanno il fiato grosso, pretenderebbero che tutti si accampassero stabilmente nelle posizioni acquisite ed agitassero i ventagli delle ripetizioni.

L’educatore, come dice la stessa etimologia latina del termine, dovrebbe essere colui che “conduce fuori” dall’altro tutta la sua ricchezza, facendola sbocciare e fruttificare in pienezza. Esemplare è la dichiarazione del Battista nei confronti di Gesù: “Bisogna che lui cresca e che io diminuisca” (Giovanni 3,30).

E invece spesso il Maestro non intuisce la grandezza del discepolo perché egli è pieno di sé e vuole essere sempre e solo magister, vocabolo che deriva dall’avverbio magis, che significa “più”. Vuole, allora, prevalere, avere sempre il primato; pretende che l’alunno lo segua o al massimo stia al suo livello “agitando il ventaglio” dell’adulazione o della ripetizione. E invece dovrebbero avere il coraggio – maestro, educatore, sacerdote, genitore, guida sociale – di spingere il giovane ad andare oltre nel cammino della conoscenza e della vita per sviluppare quei doni che ognuno ha a suo modo ed in misura diversa.

 

 

12 – Fragole

Un povero disoccupato presentò domanda di assunzione presso la Microsoft come pulitore di cessi. Il Direttore del personale lo convocò e, dopo un rapido test attitudinale, gli disse: Lei è assunto. Mi fornisca il suo indirizzo e-mail perché io possa inviarle il contratto di lavoro ed il mansionario.

Il poveretto, perplesso, rispose che non aveva il pc e che, quindi, era privo di e-mail. E il Direttore del personale: allora mi dispiace: se lei non ha una e-mail virtualmente non esiste e, quindi, non posso assumerla.

Il poveraccio, disperato, usci dalla sede della Microsoft senza sapere cosa fare e con solo dieci dollari in tasca. Si diresse verso un supermercato e lì comprò un a cassa di dieci chili di fragole. In poche ore vendette tutte le fragole al dettaglio passando di porta in porta e duplicò il capitale iniziale entro mezzogiorno.

Sorpreso ed entusiasta, ripeté l’operazione tre volte e rientrò a casa con sessanta dollari.

A quel punto si rese conto che quel sistema gli avrebbe permesso di sopravvivere … e, allora, vi si applicò in via continuativa uscendo sempre prima la mattina e rientrando sempre più tardi la sera. Così facendo triplicò e quadruplicò il capitale ogni giorno.

In poco tempo si comprò un carretto per aumentare il volume di lavoro e, successivamente, lo cambiò con un camioncino. Cosi ché, in capo ad un anno, divenne il titolare di una piccola flotta di automezzi propri.

Dopo cinque anni era diventato proprietario di una delle maggiori reti di distribuzione di derrate negli USA.

A quel punto, pensando al futuro della famiglia, decise di assicurarsi sulla vita. Chiamò un broker per stipulare una polizza. Questi al termine della conversazione gli chiese l’indirizzo e-mail per inviargli il prospetto assicurativo.

Il nostro uomo gli rispose che non aveva il pc e pertanto non aveva indirizzo e-mail.

Che strano, commentò l’assicuratore. Lei non ha una mail ed è riuscito a costruirsi un impero. Si figuri dove sarebbe ora se l’avesse avuta.

L’uomo ci pensò su e poi rispose: a pulire i cessi alla Microsoft.

 

 

11 – Babbo, oggi alla partita non mi sono divertito

Papà oggi alla partita non mi sono divertito affatto

Lo capisco figlio, avete perso e non è affatto bello

No, non c’entra niente la sconfitta

Perché i compagni non Ti passano mai la palla? Ho cercato anche di dirlo al Mister ma non mi ascoltava.

No papà, non è questo il motivo.

E’ per via dell’arbitraggio? Purtroppo la colpa è di chi ce li manda questi arbitri incompetenti.

Papà, il fatto è che ….

Anche il Mister … Ti fa giocare da terzino, possibile, che non capisca che devi fare l’attaccante?

Papà basta! Non sono triste perché abbiamo perso; non imposta, quando gioco lo faccio sempre per vincere ma ciò che conta per me è correre e divertirmi insieme ai miei compagni. Non mi interessa dell’arbitro, ha solo qualche anno più di me e come me può sbagliare. Non fa nulla se gioco da terzino papà, le scelte del Mister vanno rispettate. E se i miei compagni non mi passano la palla non è un problema, neanche io la passo perché quando ce l’ho mi piace provare a scartare l’avversario.

E allora figlio, cos’è che ti rende così triste?

E’ il tuo atteggiamento papà. Le tue urla, i tuoi consigli. Quando hai detto quella parolaccia all’arbitro mi sono davvero vergognato. Poi Ti sei messo a litigare con un genitore dell’altra squadra, per non parlare di quando hai iniziato ad urlare al mister di farmi giocare in attacco.

Figlio, ma io lo faccio perché voglio che vinciate cosicché tu sia felice.

Papà non ho bisogno di vincere per essere felice. Mi basta correre dietro al pallone insieme ai miei amici, la prossima volta, per favore, divertiti insieme a me. Non urlare, non gridare e lascia stare il mister, l’arbitro e gli avversari. Guarda la partita e lasciami giocare papà. Perché, io, non desidero nient’altro che giocare.

 

10   –   A fondo pedana, dietro di te

E io sono qui, dietro di te.
Quasi sempre in piedi, ogni tanto seduto per terra, raramente, quando riesco a trovarla, su una sedia. E ti guardo.
Quando ho cominciato a insegnare, pensavo che da dietro sarei riuscito a vedere ben poco, che in quella posizione non avrei potuto aiutarti davvero.
Del resto durante le centinaia di lezioni che abbiamo fatto ero di fronte a te, e quando provavi in palestra, mi mettevo di fianco alla tua pedana, per avere la visione migliore, per poter correggere ogni tuo sbaglio.
E invece qui mi trovo alle tue spalle, l’arma quasi non la vedo.
Poi ho capito. Non ho bisogno di vedere bene; quei movimenti che fai, li conosco a memoria, te li ho insegnati io, sono in parte i miei, te li ho visti fare mille e mille volte.
E allora è questa la posizione giusta per me, dietro di te. A farti vedere che quando ti giri, io sono lì. A darti conferma ogni volta che mi cerchi con lo sguardo, che non conta il punteggio sull’apparecchio, io resto lì a coprirti le spalle, concentrato solo su di te.
Tante volte ti ho detto che in pedana si è soli; che sotto quella maschera ci sei soltanto tu. Ed è vero. L’ho fatto perché ci credo davvero, e anche, perché non voglio, in caso quell’ultima stoccata non vada a buon fine, tu possa pensare di avermi deluso; una parte di me te lo ha detto anche perché, in caso quella stessa stoccata invece arrivasse al bersaglio, non ho nessuna intenzione di rubarti anche solo una briciola del tuo merito e della tua gioia. I miei meriti, i nostri meriti, li conosciamo, li abbiamo costruiti insieme al tempo, passato ad accarezzarci con le lame, in un contatto continuo, che alla fine è quasi un dialogo.
Quello che non ti ho mai detto è che anche io qui dietro sono solo. Concentrato solo su di te. Ho centinaia di persone accanto; con alcune magari ho scherzato davanti a un caffè pochi minuti prima, ma quando tu sali su quella pedana, e attacchi quel passante, non vedo più nessuno. Il mio mondo diventi tu, la tua schiena. Mentre ti muovi immagino e rivedo gli stessi movimenti provati tante volte in palestra, il mio cuore comincia a battere allo stesso ritmo della tua fatica e della tua tensione. E quando alla fine ti abbraccio, per consolarti o festeggiarti, quelle emozioni che vedi sul mio volto non c’entrano nulla con l’assalto, di quello mi sono spesso già dimenticato. Sono solo lo specchio delle tue emozioni. Non gioisco e soffro con te, gioisco e soffro per te.
E io sono qui, accanto a te.

Daniele Anile

 

 

9   –   A MIO PADRE (…. e non solo)

Lo sai babbo che quasi mi mettevo a piangere, dalla rabbia, quando Ti sei girato urlando contro l’Arbitro? Ed anche Tu Maestro …..

Io non Ti avevo mai visto così arrabbiato!

Forse sarà anche vero che, Lui, l’Arbitro ha sbagliato: ma quante volte io ho fatto degli errori senza che Tu mi dicessi niente ….

Anche se ho perso “per colpa dell’Arbitro”, come dici Tu, mi sono divertito lo stesso.

Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che se non griderai più l’Arbitro sbaglierà di meno.

Babbo, capisci, io voglio solo giocare, divertirmi, Ti prego lasciamela questa gioia, non darmi, quando sono in pedana, suggerimenti

che mi fanno solo innervosire: “paraaa”, “rispondiii”, “cavaaa”. Per questo, c’è il Maestro.

Mi hai sempre insegnato a rispettare tutti, anche l’Arbitro e gli Avversari e di essere educato …. e poi, quante parolacce dici Tu?

Un’altra cosa, babbo, quando vengo eliminato non mi portare a casa subito. Io mi diverto anche a seguire ed a fare il tifo per i miei

amici, stando a fondo pedana.

E, per piacere, insegnami a far controllare le mie armi, non è bello che Tu lo faccia al posto mio, Ti pare?

E, scusami babbo, non dire alla mamma, al ritorno dalla gara “oggi ha vinto” od “ha perso”, dille solo che mi sono divertito tanto e

basta. E poi non raccontare, Ti prego, che ho vinto perché ho tirato benissimo: non è vero Babbo! Ho vinto perché in palestra il

Maestro mi ha insegnato bene, i miei compagni hanno tirato molto con me, il Tecnico delle armi mi ha dato armi perfette; perché

assieme agli altri miei amici, ci siamo impegnati moltissimo: per questo ho vinto.

E, ascoltami babbo, non venire nello spogliatoio, al termine della gara o dell’allenamento, per vedere se faccio bene la doccia o se so

vestirmi, ma che importanza ha se mi metto la maglietta storta?

Babbo, devo imparare da solo, sta’ sicuro che diventerò grande anche se avrò la maglietta rovesciata, Ti sembra?

E lascia portare a me il borsone: vedi? C’è stampato sopra il nome della mia Società e mi fa piacere far vedere a tutti che io gioco con

la Scherma.

Non prendertela, babbo, se Ti ho detto queste cose, lo sai che Ti voglio tanto bene … ma adesso è già tardi, devo correre in palestra

per l’allenamento. Se arrivo tardi il Maestro non mi farà tirare ed io non giocherò con i compagni di sala …. Ciao.

 

 

8  –   L A   L E Z I O N E    Bisogna anche imparare a perdere

Noi siamo diventati popolari perché abbiamo vinto molto.

Spesso ci chiedono come si fa ad avere una mentalità vincente. Dico una banalità: si ottiene vincendo.

Molte volte si pensa che vincere significhi battere gli avversari, ma vincere è anche superare i propri limiti. Questa, anzi, è la prima vittoria che si deve cercare di ottenere.

Quando uno è già adulto e cerca di imparare un nuovo sport, per esempio lo sci, se ci riesce la sua soddisfazione è pari a quella di vincere una partita.

Vincere è anche superare delle difficoltà. E questo vale sia nella vita che nello sport. E poi c’è la vittoria sugli avversari.

Purtroppo noi viviamo in una società in cui si pretende di assimilare tutta la vita ad un campionato. Come se lo sport fosse un paradigma per tutte le situazioni. Ci dicono: “Sii un campione, mangia la pasta tal dei tali”, “Vinci nella vita, usa la macchina talaltra”. Invece la vita non è un campionato.

Noi facciamo un mestiere particolare, difficile perchè non ci basta fare le cose bene, dobbiamo farle meglio degli altri. Se noi facciamo una bella partita e poi perdiamo per una palla, come è successo a Barcellona (17 a 16 all’ultimo set), abbiamo perso. Pochi si ricorderanno se abbiamo perso per molto o per poco. Ed è giusto così, lo sport è così. Ma la vita non è così. Non è che se uno fa un punto in meno di un altro è un perdente. Non ci dobbiamo credere. Quello che invece serve allo sport è imparare a perdere, oltre che a vincere. Anche se tutti parlano dell’importanza dell’aspetto educativo dello sport e poi hanno paura di introdurre l’agonismo nella scuola, come se l’agonismo non fosse già nella vita, come se non si dicesse ai bambini: “Preparati, la vita è molto dura. Tu devi essere il migliore, quindi studia”.

Serve imparare a vincere, nel senso che bisogna fare le cose bene, sacrificarsi, essere efficienti, dare importanza alle cose decisive e anche a quelle meno decisive, quando la posta in gioco è alta. Ma serve anche imparare a perdere. Chi fa sport sa che non si può vincere sempre. L’eccezione è vincere sempre, la norma è un’alternanza tra vittorie e sconfitte. Io ho sempre detto che sono molto orgoglioso della nazionale che ha vinto due mondiali e due europei, ma sono altrettanto orgoglioso della squadra che ha perso le Olimpiadi a Barcellona. Perchè ha saputo perdere. Quando abbiamo perso non abbiamo detto: è colpa dell’arbitro, siamo sfortunati, la Federazione non ci ha appoggiato, è colpa di un giocatore, dell’allenatore, di quel dirigente. Abbiamo detto: l’avversario è stato più forte di noi, punto e basta.

Noi abbiamo costruito la mentalità della squadra combattendo quella che chiamiamo la cultura degli alibi. Che cos’è un alibi? E’ dire che non posso fare questo non perchè non ci riesca, ma perchè c’è qualcosa che lo impedisce e che io non posso modificare. Qualcosa di più grande di me. Questi alibi noi li abbiamo combattuti in tutti i sensi. Quindi quando ci è toccato perdere (una sconfitta molta dolorosa per noi, perchè era il sogno della nostra vita) non abbiamo detto niente. E ci siamo preparati da quel giorno per vincere un’altra volta.

Adesso abbiamo il grande compito di andare alle Olimpiadi di Atlanta e tutti ci daranno per favoriti, come è successo nel ‘92. Ci hanno addirittura detto che eravamo il dream team, un’espressione coniata negli Stati Uniti per le squadre di basket e che indica la squadra dei sogni di tutti gli americani. L’ho già detto molte volte, noi non siamo la squadra dei sogni. Siamo la squadra che sogna. Sogna di vincere un’Olimpiade e faremo di tutto per vincerla. Se non ci riusciremo non ci considereremo dei perdenti, sapremo però che abbiamo fallito un obiettivo. Ma l’aver fallito un obiettivo non vuol dire essere nella merda della storia. E questo è valido anche e soprattutto per i giovani. Voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a quelli che vi dicono che il mondo si divide tra vincenti e perdenti. Il mondo, secondo me, si divide soprattutto tra brave e cattive persone. Perlomeno questa è la divisione più importante. Poi, tra le cattive persone ci sono anche dei vincenti, purtroppo e tra le brave persone, purtroppo, ci sono anche dei perdenti.

Julio Velasco

 

 

7  –  G  R  A  Z  I  E …

A te che fai il Tecnico e  vuoi un bene immenso ai tuoi ragazzi.

A te che fai il Dirigente e ogni settimana risolvi mille problemi.

A te che ripari e tieni in ordine le attrezzature della palestra e degli Atleti.

A te che a fine allenamento pulisci spogliatoi e dintorni prima di andare a casa.

A te che sei una mamma che si vede arrivare a casa il borsone con la divisa da lavare.

A te che fai tardi la sera per la riunione del consiglio direttivo.

A te che diventi matto nell’ufficio tesseramento.

A te che vai ad arbitrare nonostante gli insulti e l’ingratitudine di troppi.

A te che tieni in ordine i conti della società.

A te che sei un giovane che si impegna.

A te che sei così matto da fare il Presidente avendo ogni settimana a che fare con mille problemi e poche gratificazioni.

A te che non sei citato in questa lista ma che svolgi un ruolo importante nella vita della Tua Società.

 

 

6  –  RISVEGLIANDO LA VITA

Lentamente mi muovo,

posso camminare di nuovo

La mente è ancora un po’ assopita,

l’anestesia non è ancora smaltita

 

I battiti risuonano incalzanti,

i polmoni li rincorrono ansimanti

Cuore e respiro non hanno armonia,

colpa dei farmaci, hanno interrotto la sintonia

 

La mano destra un po’ pigra appare,

lascia sempre sia l’altra ad iniziare

Ma la sinistra alla mia pelle è sconosciuta,

come se ad un’altra sia appartenuta

 

Il passo avanti è sicuro,

la vista mi aiuta

Nel passo indietro ci spero,

la sensibilità l’ho perduta

 

La gamba non sostiene,

la forza manca

L’equilibrio non mantiene,

l’andatura arranca

 

Mano e piede non riesco a coordinare,

la pedana in questo mi potrà giovare

 

Lo specchio come compagno,

il mio riflesso fa da guida,

la precisione l’ambìto guadagno,

tenere la posizione la mia sfida

 

Ricomincio dal principio ad imparare,

difficile concretizzare gli insegnamenti

Il maestro mi incoraggia a non mollare,

saranno presto evidenti miglioramenti

 

Finta e cavazione,

parate e arresti

Difficile l’elaborazione,

concetti troppo complessi

 

Temevo non l’avrei più impugnata,

incredula la tengo ben stretta

La mia spada tanto amata,

è lei quella perfetta

 

La testa il punto debole da proteggere,

la maschera calando la può sorreggere

Il confronto con l’avversaria ha una nuova percezione,

ho già affrontato una più dura competizione

 

La mia luce si accende,

per l‘altra è finita

Un nuovo assalto mi attende

la paura è svanita

 

Le ansie del passato

non hanno più significato

Ho vinto la mia sfida,

ho risvegliato la VITA

 

LIA

 

 

5  –  Amare lo sport.

 

Sono un ragazzo di 15 anni e faccio esperienze sportive da circa una decina di anni; durante questo periodo ho praticato alcune discipline ognuna delle quali ha influito sulla mia crescita e formazione, regalandomi emozioni, delusioni e ciò che più conta insegnamenti di vita. Non sono mai stato un fenomeno, e penso che mai lo diventerò: mi bastano il divertimento, il gioco e le sfide con me stesso, che sono le più affascinanti e le più avvincenti. Lo sport con cui mi sono legato maggiormente in questi anni è la scherma, lo scelsi a 6 anni e non sapevo nemmeno cosa fosse, mi piaceva il suo nome. La scelta fu ottima, poiché è uno sport sia bello esteticamente per la gestualità che impone, sia moralmente per l’educazione ed il rispetto dell’avversario; penso che tutti gli sport condividano questi principi, ma i problemi che talvolta risultano connessi al mondo sportivo siano dovuti a fattori esterni che li influenzano negativamente  quali: droga, scommesse ed interessi economici. Nel mio sport queste magagne non le ho mai viste ne sentite, vige il massimo fair play, il rispetto per lo sport, per l’avversario e per chi ti sta attorno; ogni duello si risolve con una sana stretta di mano, siamo avversari solo quando si indossa la maschera e negli altri momenti siamo tutti amici, chi più, chi meno, ma ci sentiamo tutti parte di un unica famiglia; poi essendo esseri umani capita di sbagliare, di discutere di arrabbiarsi, ma alla fine ritorna tutto come prima. Non dubito che qualche scandalo o situazione problematica si presenti anche nell’ambito schermistico, ma io non me ne rendo conto, perché mi piace vivere una realtà serena e libera da congetture. Probabilmente io sarò uno di quei tanti atleti che non segneranno la storia dello sport con imprese storiche: io allo sport non ho dato nulla, è lui che mi ha dato tanto, oltre a ciò che ho già detto che nell’ambiente sportivo ho stretto importanti amicizie che si manifestano anche al di fuori dell’ambiente sportivo, le persone che ho conosciuto molto bene non sono solo i compagni di società e di palestra, ma anche e soprattutto gli avversari che ho conosciuto durante le competizioni: grazie ad esse ho amici sparsi per l’Italia ed anche per il mondo. Non sono neanche un atleta che abbia voluto raggiungere grandi traguardi, ho sempre prediletto lo studio e lo sport l’ho vissuto come una esperienza per imparare ad affrontare difficoltà e sfide che prevedo di incontrare nell’evolversi della mia vita, ho cercato sempre di lavorare con impegno e dedizione, per serietà nei confronti della disciplina, ma anche per godere di gioioso divertimento. Inoltre lo sport, non dimentichiamo,  aiuta due volte: in primis per ciò che insegna, poi per la cura del proprio corpo e per vivere una vita in salute.

Una delle esperienze più significative che ho vissuto è stata durante una gara di scherma, quando, nel girone  eliminatorio  combattevo contro un mio amico di livello più alto del mio, in quell’assalto stavo vincendo: riesco a mettere un punto quasi decisivo in un corpo  a corpo, colpisco il mio avversario, ma lui dice che io ho colpito il muro e non la sua persona;  io per non discutere mi sono fatto annullare il punto e per quello ho perso l’assalto. Alla fine ci siamo stretti  la mano e mi ha confessato che io lo avevo realmente preso, ci siamo messi a ridere, mi ha chiesto scusa ed i suoi genitori si sono complimentati con i miei per il mio gesto, in fondo l’unico ad avere sbagliato era l’arbitro e ciò non conta perché capita a tutti di sbagliare figuriamoci a chi deve decidere in millesimi di secondo.

Mi è stato detto poi che mi sono comportato con spirito cavalleresco e ciò mi ha reso fiero.
Sette anni dopo
Livorno, 3 Dicembre 2016 – Oggi il Guardiamarina Marzio Pratellesi, Atleta di 22 anni del Circolo scherma Firenze Roberto Raggetti, ha ricevuto la Sciabola d’onore alla presenza del Ministro della Difesa, Senatrice Roberta Pinotti, del Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, del Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio di squadra Valter Girardelli, e delle massime autorità civili e militari, 118 allievi ufficiali della 1ª classe del corso normale, 71 allievi ufficiali del 16° corso a ferma prefissata e 4 allievi ufficiali del 15° corso piloti di complemento, hanno giurato fedeltà alla Repubblica di fronte ai propri famigliari.

Erano 24 anni che la Sciabola d’Onore, la più alta onorificenza dell’Accademia Navale, non veniva assegnata.
Ai miei complimenti ha risposto: Grazie Edoardo. Molto lo devo alla scherma. Quindi Ti ringrazio. A presto.

 

 

4  –  GIOCARE SOLO PER GIOCO

Fammi giocare solo per gioco

Senza nient’altro, solo per poco

Senza capire, senza imparare

Senza bisogno di socializzare

Solo un bambino con altri bambini

Senza gli adulti sempre vicini

Senza progetto, senza giudizio

Con una fine ma senza l’inizio

Con una coda ma senza la testa

Solo per finta, solo per festa

Come una fiamma che brucia nel fuoco

Fammi giocare solo per gioco.

 

 

3 – I BAMBINI IMPARANO CIO’ CHE VIVONO

 

I bambini imparano ciò che vivono.

Se un bambino vive nella critica impara a condannare.

Se un bambino vive nell’ostilità impara ad aggredire.

Se un bambino vive nell’ironia impara ad essere timido.

Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.

Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente.

Se un bambino vive nell’incoraggiamento impara ad avere fiducia.

Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.

Se un bambino vive nella disponibilità impara ad avere una fede.

Se un bambino vive nell’approvazione impara ad accettarsi.

Se un bambino vive nell’accettazione e nell’amicizia impara a trovare l’amore nel mondo.

Doret’s Law Nolte

 

2 – IL DECALOGO DEL VINCENTE E DEL PERDENTE

  1. Il Vincente ha sempre delle soluzioni.
    2. Il Perdente ha sempre dei problemi.
    3. Il Vincente ha sempre un programma
    4. Il Perdente ha sempre una scusa
    5. Il Vincente dice “ci penso io”
    6. Il Perdente dice “non è compito mio”
    7. Il Vincente vede una risposta in ogni problema
    8. Il Perdente vede un problema in ogni risposta
    9. Il Vincente dice “può essere difficile, ma si può fare”
    10. Il Perdente dice “si potrebbe fare ma è troppo difficile”

TU COSA SEI, UN VINCENTE O UN PERDENTE ?

 

 

1 – HO IMPARATO

Ho imparato… che nessuno è perfetto…  Finché non ti innamori.

Ho imparato… che la vita è dura…
Ma io di più!!!
Ho imparato… che le opportunità non vanno mai perse.
Quelle che lasci andare tu… le prende qualcun altro.
Ho imparato… che quando serbi rancore e amarezza la felicità va da un’altra parte.
Ho imparato… che bisognerebbe sempre usare parole buone…Perchè domani forse si
dovranno rimangiare.
Ho imparato… che un sorriso è un modo economico per migliorare il tuo aspetto.
Ho imparato … che semplici passeggiate con mio padre attorno all’isolato nelle notti d’estate quand’ero bambino, sarebbero stati miracoli per me da adulto.

Ho imparato… che non posso scegliere come mi sento…
Ma posso sempre farci qualcosa.
Ho imparato… che quando tuo figlio appena nato tiene il tuo dito nel suo piccolo pugno…

ti ha agganciato per la vita.

Ho imparato… che tutti vogliono vivere in cima alla montagna….Ma tutta la felicità e la
crescita avvengono mentre la scali.

Ho imparato… che bisogna godersi il viaggio e non pensare solo alla meta.

Ho imparato… che è meglio dare consigli solo in due circostanze… Quando sono richiesti e quando ne dipende la vita.
Ho imparato… che meno tempo spreco… più cose faccio.

Ho imparato … che desidererei aver detto una volta in più a mio padre che lo amavo, prima che se ne andasse.